lunedì 23 settembre 2024
Al centro della contesa c’è l'infrastruttura sul Nilo Azzurro in cui l’Etiopia vuole attivare sette nuove turbine entro l’anno. L’Egitto ha siglato un patto con la Somalia per punire Addis Abeba
Sono state completate le operazioni di riempimento del bacino della Grand Ethiopian Renaissance Dam, la diga realizzata dall’Etiopia sul Nilo Azzurro

Sono state completate le operazioni di riempimento del bacino della Grand Ethiopian Renaissance Dam, la diga realizzata dall’Etiopia sul Nilo Azzurro - Ansa

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Il Corno d’Africa è attraversato da ampie linee di faglia che determinano una netta contrapposizione tra i diversi schieramenti. La macroregione è estremamente vulnerabile e soggetta a turbolenze e squilibri che potrebbero scatenare un conflitto a tutto campo. Un fattore chiave nell’interpretazione di quanto sta avvenendo è rappresentato dall’accesso alle vie d’acqua, poco importa che si tratti del Nilo o del Mar Rosso. Il primo ministro dell’Etiopia Abiy Ahmed ha promesso recentemente ai propri sostenitori che sette turbine del Gerd, il grande complesso idroelettrico sul Nilo Azzurro, saranno operative prima della fine di quest’anno, precisando che la capacità di stoccaggio del bacino dovrebbe raggiungere i 71 milioni di metri cubi di acqua entro lo stesso lasso di tempo. Come era prevedibile, Egitto e Sudan contestano al governo di Addis Abeba il diritto di impedire il libero flusso dell’acqua senza che venga raggiunta un’intesa vincolante con i Paesi a valle. In particolare, chiedono che vi sia chiarezza su come verrà ripartita l’acqua in futuro e sui tempi di riempimento del bacino.

La “vexata quaestio” è rappresentata, in particolare, dal fattore climatico, una variabile perniciosa, soprattutto durante le sempre più prolungate stagioni di siccità. Non è un caso se lo scorso 14 agosto al Cairo il presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi e il suo omologo somalo, Hassan Sheikh Mohamud, hanno dato il loro assenso alla firma di un protocollo bilaterale di cooperazione in materia di difesa. Il patto è stato siglato nella capitale egiziana a seguito di un incontro tra i due capi di stato.

L’Egitto si è anche impegnato a sostenere una nuova missione di mantenimento della pace dell’Unione Africana in Somalia che, nel 2025, prenderà il posto dell’attuale African Union Transition Mission in Somalia (Atmis). Il piano prevede il dispiegamento di 5mila militari egiziani, a cui si aggiungeranno altri 5mila che saranno schierati separatamente lungo la linea di confine con l’Etiopia e il Somaliland (accusato da Mogadiscio di aver ricevuto armi da Addis Abeba). Il nuovo asse Cairo-Mogadiscio servirebbe così come monito alla regione separatista del Somaliland che, com’è noto, si è autoproclamata indipendente.

L’Etiopia ha siglato un patto preliminare con il governo di Hargheisa che ha provocato durissime reazioni da parte di Mogadiscio. L’intesa non solo contempla il riconoscimento da parte del governo di Addis Abeba del Somaliland, ma anche la concessione, in cambio, di alcuni terreni costieri su cui realizzare una base navale, garantendosi così il suo primo sbocco sul mare, direttamente nel Golfo di Aden. La tensione è comunque alle stelle se si considera che il 16 settembre scorso è stata diramata la notizia del rinvio sine die dei colloqui previsti a Istanbul (Turchia) per il giorno seguente tra Etiopia e Somalia per via della crescente tensione nel Corno d’Africa, in seguito alla cooperazione militare tra il Cairo e Mogadiscio. In questo contesto, come era prevedibile, si stanno delineando gli schieramenti. L’Eritrea del dittaore Isais Afewerki, ad esempio, ha confermato l’appoggio al Cairo, attraverso il proprio ministro degli esteri, Yemane Meskel, manifestando così l’antica rivalità, di fatto mai sopita, con l’Etiopia.

Nel frattempo, è importante ricordare che la situazione continua ad essere drammatica in Sudan dove prosegue, dall’aprile dello scorso anno, lo scontro militare tra l’esercito regolare del generale Abdel Fattah al-Burhan e le milizie paramilitari di Mohamed Hamdan Dagalo, meglio noto come Hemeti. Il direttore generale dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), Tedros Adhanom Ghebreyesus, ha dichiarato in questi giorni che, dall’inizio delle ostilità, oltre 20mila persone sono state uccise nel conflitto, precisando che dieci milioni sono i civili sfollati e oltre due milioni coloro che hanno trovato rifugio nei Paesi limitrofi. Se a tutto questo aggiungiamo la decisione del governo di transizione del governo di Juba (capitale attraversata dal Nilo Bianco) di posticipare di due anni le elezioni in Sud Sudan, è evidente che nel Corno d’Africa non c’è Paese che sia in grado di garantire un benché minimo livello di stabilità. Stiamo parlando di un paese diventato indipendente nel 2011 e che da allora non ha mai celebrato una tornata elettorale.

I motivi sono gli stessi di sempre: i ritardi nel processo di implementazione di quanto stabilito negli accordi di pace del 2018. Una cosa è certa: il futuro del Corno d’Africa è appeso ad un filo. Gli uomini chiave per la stabilizzazione della regione sono certamente al-Sisi, che da anni ripete che il suo paese, l’Egitto, è pronto a difendere «con ogni mezzo» l’acqua del Nilo; e Abiy che ha dichiarato senza mezzi termini che l’Etiopia «umilierà» chiunque tenti di minacciare la propria sovranità territoriale. Inquietante è il disinteresse del consesso delle nazioni, in particolare dei grandi player internazionali. Il rischio è che scoppi, da un momento all’altro, la “prima guerra dell’acqua” in un Continente che ha estremo bisogno di stabilità.

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