«Il mio corpo era coperto di bende, con solo gli occhi, il naso e la bocca scoperti. Tutti pensavano che sarei morto. Invece sono qui, a chiedere che nessun altro bambino soffra quello che io e la mia famiglia abbiamo sofferto per colpa di una bomba atomica». Fujimori Toshiki aveva quattro anni quando il Giappone fu devastato da due ordigni nucleari. Venerdì si è presentato all'Assemblea generale per ricordare ai membri dell’Onu che una delle missioni che le Nazioni Unite si diedero, nel 1946, fu proprio la necessità di portare le armi nucleari sotto il controllo internazionale.
Quei primi sforzi fallirono: nei decenni successivi gli arsenali atomici crebbero a dismisura e il club nucleare si ampliò, con l’aggiunta di Corea del Nord, India, Israele e Pakistan. Ma la maggioranza dei Paesi dell’Assemblea generale resta convinta che l’Onu debba riaffermare la determinazione di quegli anni e mantenere la promessa istituzionale fatta alle sue origini.
Per una settimana, infatti, decine di ministri, ambasciatori e funzionari di 123 Paesi hanno sostenuto dal Palazzo di Vetro che solo l’eliminazione completa delle armi nucleari libererà l’umanità dalla minaccia rappresentata dall'uso, volontario o accidentale, dei 15mila ordigni nucleari esistenti, molti dei quali pronti per l’uso immediato. Il primo round di colloqui per raggiungere un accordo vincolante che vieti le armi nucleari si è concluso venerdì con l’impostazione della cornice legale del trattato e l’impegno ad affrontare la seconda fase dal 15 giugno al 7 luglio. La volontà comune è dunque che il trattato che l’Assemblea intende approvare all'inizio dell’estate diventi un punto di riferimento nella sicurezza collettiva e del diritto internazionale, come lo fu nel 1970 il Trattato di non proliferazione.
L’ostacolo principale alla sua efficacia è che, questa volta le potenze nucleari e molti loro alleati (Italia compresa) hanno boicottato i lavori della conferenza, minacciando di non rispettare l’accordo finale.
Ma ugualmente, dozzine di delegati si sono alternati per cinque giorni sul podio per sottolineare che non considerano il trattato un tentativo ingenuo, ma un passo fondamentale per rafforzare le norme per il disarmo e mantenere accesa la fiamma sull'idea che l’umanità possa superare il suo ciclo storico di spargimenti di sangue di massa. «Questa conferenza è un atto di sfida contro la logica della paura – ha detto l’arcivescovo Bernardito Auza, Osservatore permanente della Santa Sede presso l’Onu –. Forse ora non lo vediamo come un atto d’amore, ma sicuramente è un momento in cui insieme affermiamo la nostra umanità collettiva, riscattiamo i nostri legami con i morti, onoriamo il nostro impegno nei confronti dei nostri contemporanei e manteniamo la nostra promessa nei confronti di generazioni non ancora nate». Auza ha sottolineato che il divieto delle armi nucleari dovrebbe contenere alcuni principi chiave.
Tra questi la costruzione della pace attraverso la fiducia e il dialogo, invece della paura della distruzione reciproca, una cultura dell’incontro, la condanna del danno indiscriminato che le armi nucleari causano, la necessità di assistenza per le vittime passate di ordigni atomici e per la bonifica ambientale, interventi per aumentare l’interesse pubblico sulle conseguenze umanitarie delle armi nucleari e l’allocazione delle risorse per lo sviluppo umano, invece di armi. Bayani Mercado, delegato delle Filippine, ha fatto notare che il lavoro dell’Assemblea è urgente, perché il rischio nucleare oggi è a livelli che mai visti dal 1980, quando al Pentagono si parlava seriamente di «vincere una guerra nucleare».
Come nelle precedenti epoche di grande ansia atomica, infatti, anche oggi gli Stati Uniti e la Russia sono al centro della corsa agli armamenti atomici. Ora che è stata eliminata la pietra angolare del Trattato anti-missili balistici, Washington ha avviato la costruzione di un complesso sistema di difesa missilistica di tipo aperto in prossimità delle frontiere russe e Mosca ha accelerato lo sviluppo di nuovi missili, testandoli in violazione del trattato contro le testate nucleari a raggio intermedio. Recentemente, la nuova Amministrazione repubblicana di Donald Trump ha messo in chiaro che «la politica nucleare è di nuovo in primo piano» e la sua ambasciatrice all’Onu, Nikki Haley, insieme ai rappresentanti di Francia e Regno Unito, ha sostenuto che senza deterrenza nucleare la sicurezza mondiale è a rischio. Ma è una posizione che la maggior parte della comunità internazionale, in linea con il Papa, non condivide più, considerandola invece «un approccio miope ai problemi che circondano la sicurezza in tutto il mondo».