Khrystyna tra mamma e papà oggi, poco dopo l'operazione avvenuta all'Istituto Gaslini di Genova - Concessione famiglia
Khrystyna ha due anni, codini biondissimi, l’argento vivo addosso. Ancora non sa di essere un “miracolo” della scienza, viva grazie a un chirurgo italiano che non si è fermato davanti a niente. Cresceva nel grembo di sua madre e già scappava mentre le bombe cadevano su Mariupol e, quando nemmeno sua mamma è più riuscita a difenderla, è venuta al mondo di 22 settimane, piccolissima e con il cuore a metà... «Né in Ucraina né negli altri Paesi trovavamo un cardiochirurgo che accettasse di operare la nostra bambina – racconta la madre Liudmyla –, ma non abbiamo perso la speranza e un giorno abbiamo saputo di un medico italiano straordinario, il dottor Guido Michielon, un uomo dalle mani d’oro, che opera al Gaslini di Genova. Solo in Italia medici di grande umanità ci hanno aiutati a preservare ciò che più contava per noi: nostra figlia era tutto quello che ci era rimasto».
Tutto remava contro la sopravvivenza di Khrystyna, che il 7 aprile del 2022 era venuta al mondo durante la fuga con un cesareo d’emergenza, appena un chilo e 200 grammi, il centro del cuore non ancora formato. «A Dnipro, dove eravamo scappati, per due mesi i medici hanno lottato per la vita di Khrystyna, cui dopo il parto avevano diagnosticato un difetto cardiaco troppo grave per essere affrontato da loro, dovevamo a tutti i costi lasciare l’Ucraina! Ci siamo riusciti otto mesi dopo, sei giorni di viaggio a bordo della nostra auto e siamo arrivati in Irlanda, ma nemmeno lì la bimba fu considerata operabile». Infatti a complicare ulteriormente la situazione già drammatica c’era il fatto che i genitori di Khrystyna sono Testimoni di Geova e per questo chiedevano che la bambina non ricevesse trasfusioni di sangue...
Khrystyna con la mamma all'Istituto Gaslini - Foto Gaslini
«Senza l’impiego di emoderivati l’intervento era considerato impraticabile – ci spiega il dottor Michielon, 62 anni, veneziano, uno dei massimi esperti al mondo in cardiochirurgia pediatrica e neonatale, tornato in Italia dopo anni di attività nei centri d’eccellenza degli Stati Uniti e d’Europa, oggi a capo della cardiochirurgia al Gaslini –, ma in Inghilterra mi era già capitato di dover operare bambini le cui famiglie erano Testimoni di Geova, così con la mia équipe abbiamo studiato una strategia personalizzata estremamente complessa per operare la piccola evitando l’utilizzo di sangue omologo, ossia da donatore». Un intervento quasi unico nel panorama internazionale, ma Michielon è uomo che non si scoraggia e nemmeno perde tempo a giudicare le scelte degli adulti, il punto era salvare al più presto la vita della bambina, «tecnologie d’avanguardia e trattamenti mirati erano l’unica possibilità – afferma – e noi siamo lieti di aver garantito la massima qualità di cure riuscendo a rispettare le esigenze della famiglia». La piccola, spiega il chirurgo, aveva un “difetto del setto atrio-ventricolare con insufficienza severa della valvola sinistra”, in parole semplici la parte centrale del cuore non c’era proprio, «l’intervento doveva ricostruirla e inoltre riparare la valvola senza doverla sostituire». L’operazione è durata 5 ore e il cuore di Khrystyna è stato fermo per ben 80 minuti perché – spiega il medico – la plastica della valvola è stata molto complessa: «Se il risultato non fosse stato perfetto, sarebbe stato necessario sostituirla con una protesi e questo avrebbe significato ripetute sostituzioni negli anni, durante la crescita della bimba, e una anticoagulazione a vita: vi lascio immaginare cosa significhi per un paziente normale, a maggior ragione per un testimone di Geova...». Sul successo dell’operazione Michielon, che ha al suo attivo oltre 4.500 interventi su bambini con cardiopatie congenite gravi, era «abbastanza tranquillo», ciò che non era affatto certo, invece, era «poter evitare trasfusioni durante e dopo l’operazione. Ci siamo inventati un circuito per circolazione extracorporea piccolissimo e con un sistema di filtrazione continua abbiamo utilizzato solo il sangue della bambina. Nemmeno una goccia è andata sprecata», persino le perdite durante l’operazione sono state recuperate con un sistema che lava e restituisce i globuli rossi al paziente. Non solo, «la soluzione che serve per fermare il cuore contiene un po’ di sangue: abbiamo recuperato anche quello! Non avevamo veramente margine di errore, perché Khrystyna partiva con una emoglobina già molto bassa... Dopo soli sette giorni di terapia intensiva l’abbiamo dimessa in ottime condizioni». L’intervento è risolutivo, non ci sarà bisogno di farne altri.
La casa di Mariupol prima della guerra e dopo il bombardamento - Concessione famiglia
Prima del febbraio del 2022, quando la guerra russo-ucraina ha ribaltato il loro mondo, Liudmyla e il marito Oleksandr vivevano una vita serena, lei impiegata in un centro estetico, lui in un impianto metallurgico, «a Mariupol avevamo una bella casa su due piani e lì aspettavamo con gioia la nascita della nostra bambina. Ma a marzo di due anni fa la città è stata circondata dall’esercito russo – riprendono il racconto –, le bombe cadevano giorno e notte su di noi. Con 8 gradi sotto zero eravamo senza riscaldamento, senza luce, senza gas, senz’acqua, senza niente. Per bere scioglievamo la neve e per cucinare usavamo l’acqua del fiume, stavamo all’aperto per non rischiare di morire schiacciati. Ero incinta di 5 mesi e non c’erano mezzi per scappare: rimanemmo sotto le bombe per tre settimane...». Oggi sorride, ma nelle foto che ci mostra del “prima” e del “dopo” c’è tutto l’incubo della guerra: “prima” Liudmyla incinta e felice che si accarezza il ventre accanto al camino acceso, alla parete un quadro che la ritrae abbracciata al marito; “dopo” un cumulo di rottami e vetri rotti (le viscere della stessa casa sventrata) e tra le macerie il loro ritratto che emerge impolverato, assurdo, incredibile. «La città era distrutta, siamo partiti sotto il fuoco portando via l’indispensabile e i nostri due gatti, siamo usciti indenni per miracolo». Il posto più sicuro era a 90 chilometri ma la benzina è finita prima, l’ultimo tratto hanno dovuto spingere le auto... Due settimane dopo, a Dnipro, la nascita turbolenta di Khrystyna.
In Ucraina Oleksandr rischiava pure di essere costretto a combattere: «Uccidere è un peccato e mio marito non avrebbe mai preso le armi – afferma Liudmyla –, se tutti gli esseri umani facessero come lui non ci sarebbe mai la guerra. La vita è sempre sacra, e ancora di più quella di tua figlia non la puoi perdere per la follia di chi decide di fare una guerra. Non sapremo mai esprimere la gratitudine che proviamo per il dottor Michielon e la sua squadra, non solo perché l’operazione ha avuto successo, ma per la sua dedizione e il modo in cui ci ha trattati: quando il resto del mondo ci ha rifiutati, lui ci ha accolti». Oggi non hanno un posto dove “tornare”, la loro casa è distrutta, Mariupol è occupata, ormai vivono e lavorano in Irlanda. «Ma solo in Italia abbiamo trovato un ospedale dove i medici sono al posto giusto e salvano vite, per noi sono stati un dono di Dio».
Parole che Michielon ha sentito spesso, quando un piccolo cuore malato è tornato a battere tra le sue mani e un bambino è tornato a vivere: «Ogni volta per me è un nuovo paziente con le sue individualità anatomiche e la sua storia. Ogni intervento è il più importante, per quel paziente, e io inizio sempre dalla linea di partenza, ho in mente il percorso migliore per raggiungere l’obiettivo più adatto a lui e alle aspettative dei suoi genitori. La mia soddisfazione? Coincide sempre con la soddisfazione del bambino e della sua famiglia».
Il dottor Michielon con un'altra piccola paziente dei 4.500 che ha già operato nel mondo - Foto Gaslini