All'Onu si aprono le trattative per il disarmo nucleare
«Sto invecchiando. Sono ormai stanca. Ma non posso morire prima che il mondo abbia messo al bando le armi nucleari, non potrei riposare in pace». Sono le parole della mia amica Seiko Ikeda, Hibakusha, cioè una sopravvissuta al bombardamento atomico su Hiroshima. Seiko aveva dodici anni e ricorda benissimo quel 6 agosto 1945. Da decenni gira il mondo, con i suoi racconti così vividi, per far capire che l’umanità e le bombe atomiche non possono convivere sullo stesso pianeta. E che l’unico modo per garantire che non vengano mai più usate è quello di eliminarle tutte.
Lunedì 27 marzo, al Palazzo di Vetro a New York, inizieranno i negoziati per un Trattato che metta finalmente al bando le armi nucleari. È il positivo risultato di un percorso iniziato qualche anno fa e denominato "Iniziativa Umanitaria". Visti i decenni di stallo a livello diplomatico, uno stallo che in questi anni di tensioni crescenti e di superpotenze che invocano una nuova crescita degli arsenali nucleari diventa ogni mese più pericoloso, alcuni Stati e organizzazioni non governative hanno pensato di spostare il fulcro del dibattito: non più questione militare, di sicurezza nazionale o regionale, ma tema umanitario che impone una scelta a livello etico prima ancora che politico.
Una qualsiasi deflagrazione nucleare, oltre ai morti immediati sul luogo dell’esplosione, avrebbe conseguenze ben oltre qualsiasi confine, a centinaia di chilometri di distanza; e nessuna nazione od organizzazione internazionale sarebbe in grado di proteggere le popolazioni colpite. Si tratta di minacce serie, gravi, che possono concretizzarsi in effetti irreversibili. Effetti che riguarderebbero nell’immediato principalmente le città e la popolazione civile. Ciò è inaccettabile. Le città non sono bersagli! E i cittadini non sono semplici pedine sullo scacchiere della storia.
Il ragionamento alla base della "Iniziativa Umanitaria" è semplice: compito degli Stati e delle organizzazioni internazionali è proteggere gli esseri umani o almeno salvare le persone dopo una catastrofe; poiché nel caso di una guerra in cui si usino armi nucleari nessuno sarebbe in grado di proteggere le popolazioni civili abbiamo l’obbligo morale ed etico di impedire un tale utilizzo. L’unico modo per farlo è metterle al bando e smantellarle tutte. Tutte, non solo quelle dei nostri "nemici", quali la Corea del Nord o l’Iran. Da lunedì inizierà concretamente il cammino verso la definizione di uno strumento giuridico internazionale per questo obiettivo, con la speranza che, via via, tutti gli Stati abbiano lungimiranza e coraggio per aderirvi.
I negoziati che hanno portato all’adozione del Trattato di Non Proliferazione nucleare (Tnp) sono iniziati dopo il grande spavento della crisi dei missili a Cuba, nel 1962. E hanno acquistato velocità nel 1964 quando anche la Cina ha fatto sapere di essersi dotata di armi nucleari. Ormai ci siamo forse dimenticati che l’obiettivo finale del Tnp era certamente impedire la proliferazione delle armi nucleari ma soprattutto arrivare a un disarmo nucleare completo, da raggiungersi tramite negoziati in buona fede a cui i firmatari si impegnavano solennemente. Col passare dei decenni ci si è fermati sempre più sugli obiettivi parziali ed è passata l’interpretazione che l’importante era impedire che nuovi Stati si armassero di ordigni nucleari. «Non devono cadere nelle mani sbagliate», si diceva.
Ma per le armi nucleari non esistono mani giuste: sono strumenti troppo distruttivi e inumani, e ancora oggi le 15.000 testate ancora attive potrebbero cancellare il nostro mondo svariate volte. È per tali motivi che negli ultimi anni molti Paesi non nucleari (in particolare quelli che non stanno sotto il cosiddetto "ombrello atomico" dei P5) che hanno rispettato la loro parte di accordo si sono sentiti sempre più defraudati dal fatto che le 5 potenze nucleari (Stati uniti, Russia, Gran Bretagna, Francia, Cina) non facciano nemmeno un piccolo passo verso un disarmo effettivo. E sono proprio questi Stati, grazie alla leadership di Paesi come l’Austria, la Norvegia, il Brasile, la Nuova Zelanda, l’Irlanda, l’Indonesia, la Nigeria nell’ambito della già ricordata "Iniziativa Umanitaria", che stanno cercando di spostare l’asse del dibattito indicando una nuova strada.
Tra le principali voci a sostegno di questo percorso c’è soprattutto quella di Papa Francesco che in numerose occasioni, e in linea con i pronunciamenti ufficiali vaticani degli ultimi anni, ha continuato a sostenere l’importanza della conferenza Onu che prenderà il via la prossima settimana. Lo ha fatto lo scorso gennaio formalmente anche davanti al Corpo Diplomatico presso la Santa Sede e soprattutto nel messaggio per la Giornata mondiale per la pace 2017, in cui ha rivolto «un appello in favore del disarmo, nonché della proibizione e dell’abolizione delle armi nucleari: la deterrenza nucleare e la minaccia della distruzione reciproca assicurata non possono fondare questo tipo di etica», cioè «un’etica di fraternità e di coesistenza pacifica tra le persone e tra i popoli». E l’Italia? Il Governo italiano ha confermato la linea degli ultimi anni e ha votato contro la convocazione dei negoziati, forse per mancanza di fiducia nella possibilità di realizzare lo smantellamento degli arsenali nucleari come conseguenza di un divieto totale delle armi atomiche. La via preferita è stata, al contrario, quella di un ipotetico approccio diplomatico graduale, che però – come già detto – ha contribuito a creare lo stallo in cui siamo impantanati da decenni.
Per questo recentemente la Rete Italiana per il Disarmo e la campagna Senzatomica hanno scritto al presidente del Consiglio Paolo Gentiloni e al ministro degli Esteri Angelino Alfano, chiedendo un ripensamento e un cambio di passo: «La sicurezza che desideriamo e intendiamo realizzare è la sicurezza umana, cioè la sicurezza delle persone, fondata sul rispetto dei diritti inviolabili e sul soddisfacimento dei bisogni essenziali. Bisogna trovare il coraggio di agire adesso, per conto dell’umanità presente e futura. È il momento di condividere questa grande e nobile impresa».
Eppure il nostro Paese avrebbe molto da offrire. Ricordiamo tutti la leadership italiana nella campagna per la Moratoria sulla pena di morte, o nelle campagne per la messa al bando delle mine antipersona o delle munizioni a grappolo. Ormai lo sappiamo, quando un Paese agisce sulla scena internazionale rappresentando pienamente le aspirazioni della maggioranza dei propri cittadini, si sviluppa una splendida sinergia e si raggiungono obiettivi inaspettati. La speranza della società civile italiana impegnata per il disarmo nucleare è che ciò possa avvenire anche per il cammino di messa al bando degli ordigni atomici. Come critica, lungimiranza, intelligenza vorrebbero. Speriamo non manchi il coraggio di farlo.
Lisa Pelletti Clark fa parte del Direttivo "Beati i Costruttori di Pace" ed è co-presidente internazionale dell’International Peace Bureau