domenica 18 gennaio 2009
Parla l'ex assistente di Reagan e consigliere di Rumsfeld: «Non cambierà l'approccio alla guerra al terrore. Per l'America nessuna svolta su Israele. Inutile il dialogo con l'Iran».
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Poche persone come Richard Perle si sono attirate negli ultimi anni le critiche, feroci e spesso esagerate, di blogger, media tradizionali, di democratici e di molti repubblicani. Basta digitare il suo nome su Google e spuntano 50mila siti che parlano di quest’uomo che è stato uno degli artefici della politica di disarmo dell’America di Reagan negli anni ’80. Ma oggi è noto soprattutto come «l’architetto della guerra» in Iraq. Accusa che ha respinto in un lungo articolo uscito in questi giorni su The National Interest: «Se fossi stato l’architetto – ha scritto – la nostra politica sarebbe stata diversa».Chiedere a Richard Perle, che dal 2001 al 2003 ha presieduto su richiesta di Donald Rumsfeld il Policy Defense Board del Pentagono, di delineare e provare a immagine il futuro della politica estera e di sicurezza di Obama è quindi prima di tutto tentare di guardare a bocce ferme l’era Bush. Partiamo dalle grandi strategie. Obama seppellirà la “Dottrina Bush”?Nessuno mi ha ancora spiegato cosa s’intende per “Dottrina Bush”....Sintetizziamo: lotta al terrorismo e agli Stati che proteggono al-Qaeda; diffusione della democrazia; guerra preventiva; supremazia Usa. Ci siamo?n parte. La vera novità è l’estensione della lotta al terrorismo agli Stati che proteggono, esportano e finanziano il terrore. Lo “strike first” esiste dai tempi delle caverne. Una politica estera basata su principi come la libertà è da sempre nel Dna degli Stati Uniti. Aggiorniamo la domanda: cosa resterà della “Dottrina Bush”, così intesa, in Obama?Il prossimo presidente non cambierà l’approccio Usa nella guerra al terrorismo e manterrà alta la pressione sugli Stati canaglia. Obama entrerà alla Casa Bianca con la «grana» Gaza. Realistici dei cambi di direzione sulla questione israelo-palestinese rispetto agli 8 anni di Bush?Non cambierà nulla in sostanza.Perché?Gli Stati Uniti storicamente sono molto vicini a Israele. Lo sono gli americani e il Congresso riflette questa visione. Non significa essere ostili ai palestinesi, ma Washington continuerà a considerare centrale la sicurezza dello Stato ebraico. E l’audizione della Clinton al Senato in fondo ha confermato questa tendenza.A cosa si riferisce in particolare?Hillary Clinton ha detto che con Hamas non si dialoga finché non riconoscerà il diritto all’esistenza dello Stato ebraico. D’altronde parlare con i miliziani di Gaza non avrebbe nessuna logica. Il pericolo numero uno, dicono al quartiere generale di Obama, è l’Iran. Il neo presidente parla di dialogo con Teheran pur senza specificare nulla al riguardo...Dialogo? Negli ultimi 8 anni anche gli uomini di Bush hanno incontrato emissari iraniani. Ma sulle due questioni cardine, nucleare e sostegno ai terroristi, la situazione è complessa. Credere ciecamente che con il dialogo si possa cambiare l’atteggiamento iraniano – per quanto concerne la “sponsorizzazione” dei terroristi – è assurdo. Sulle armi di distruzione di massa il discorso è ancora più intricato. Il fatto è che molti degli attori in gioco, come gli europei, non hanno una piena coscienza del pericolo posto dal nucleare. Non lo ritengono imminente e allora tergiversano. Inevitabile l’uso della forza?No. Ma non si possono commettere gli errori fatti da Bush.Quali?In pubblico indicava una direzione politica e faceva proclami molto forti. Ma chi doveva mettere in pratica la linea – i funzionari del Dipartimento di Stato – tradivano quello spirito. Serve coordinamento maggiore tra le varie agenzie.Sarà anche il compito di James Jones, consigliere per la Sicurezza nazionale. Lei ha molto criticato la Rice in questo ruolo...Condi è stata debole. Jones è un’ottima scelta. È un militare. Conosce la catena di comando, sa operare in uno schema gerarchico. Dovrà presentare al presidente le opzioni migliori.In tema di nomine: le piace la Clinton?Il male minore. Determinata, tosta, preparata. È una pragmatica e sa farsi valere. Vista la rosa di pretendenti per il posto di capo della diplomazia è stata la scelta migliore.Lo Scudo spaziale in Polonia e Repubblica Ceca è uno dei temi che Obama dovrà affrontare subito. Andrà avanti?Lo spero. È un ottimo progetto. Nei primi anni ’80 parte dell’Europa era convinta si dovesse convivere con l’Urss. E puntava sull’appeasement (accomodamento, ndr). Reagan non condivideva questa strategia. Voleva un dialogo non al ribasso con Mosca. E lo ha ottenuto. Rinunciare oggi allo Scudo perché lo chiede la Russia è un duplice errore: prima di tutto si dà l’idea di dipendere da Mosca; in secondo luogo si dimentica la natura del pericolo: missili e armi nucleari. Lo scudo è diretto contro Iran e Nord Corea. L’Europa queste preoccupazioni però non le percepisce. Ha uno sguardo limitato, non riesce a guardare alle sfide di domani.Obama è andato a cena con i commentatori conservatori. Cosa gli avranno suggerito?Di guardare il mondo per quello che è. Valutando i pericoli che esso nasconde: armi di sterminio e terroristi. La sicurezza è la priorità. Questo gli avranno detto. Spero.
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