L’otto ottobre aveva firmato la richiesta di perdono alla famiglia della vittima. E la sua pena era stata sospesa. Ma ora Reyhaneh Jabbari, la giovane iraniana condannata all’impiccagione per aver ucciso, sette anni fa, l’uomo che ha tentato di stuprarla, rischia di essere messa a morte perché i parenti di quest’ultimo hanno negato il perdono e richiesto l’esecuzione.
A rivelarlo, ieri, sono state fonti della famiglia di Reyhaneh. «Questa mattina – hanno spiegato – c’è stata una riunione tra il figlio maggiore della vittima e il padre, la madre e l’avvocato di Reyhaneh, oltre a due uomini dell’intelligence iraniana». Ma non è stato raggiunto un accordo. In base all’ordinamento della Repubblica islamica, la famiglia della persona uccisa può perdonare l’omicida e salvarlo in questo modo dalla forca.
«La madre della ragazza – hanno riferito le fonti – ha supplicato il figlio delle vittima, che però è stato irremovibile nel chiedere che Reyhaneh smentisca di aver subito un tentativo di stupro, unica condizione alla quale sarebbe disposto a concedere il perdono». Ma Reyhaneh è rimasta ferma nella sua versione dei fatti. «Preferisce essere impiccata piuttosto che mentire, perché lei ha subito lo stupro», ha detto il portavoce della Ong “Neda Day”, che segue il caso. La famiglia spera ora in una mobilitazione internazionale che porti a una revisione del processo. «La salvezza – ha sottolineato il portavoce Taher Djafarizad – viene prima di tutto dall’Europa, perché l’Iran sta cercando di avere rapporti con il mondo occidentale».
Il presidente dell’Europarlamento, Martin Schulz, ha inviato una lettera al capo del Parlamento iraniano, Ali Larijani, esprimendo grande preoccupazione. Un appello per salvare Reyhaneh è stato rivolto da Sergio D’Elia, segretario di “Nessuno tocchi Caino”, l’organizzazione che da anni si batte contro la pena di morte.