mercoledì 10 giugno 2009
Parte il dialogo con il governo per ristabilire l’ordine. Si rifugia all’ambasciata il capo della «sommossa». Il presidente della Conferenza episcopale, Miguel Cabrejos: «Serve la riconciliazione».
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Confusione, dolore, ma anche speranza. Il Perù vive giornate convulse, sulla scia delle violenze esplose venerdì e sabato a Bagua ( Amazonas). Ma c’è uno spiraglio. La Chiesa cattolica peruviana ha annunciato che parteciperà al processo di dialogo per ristabilire l’ordine e la tranquillità nelle zone sconvolte dai disturbi. Lo ha confermato il presidente della Conferenza episcopale, monsignor Miguel Cabrejos: « Vogliamo il bene, la pace, la riconciliazione». Dopo una riunione con il premier Yehude Simon, il presidente della Conferenza ha assicurato che l’obiettivo di un tavolo di dialogo è la « riconciliazione » dei peruviani. « Bisogna evitare qualsiasi indizio di violenza » : serve calma e serenità, ha ricordato Cabrejos. Per il presidente del consiglio dei ministri Simon, la mediazione della Chiesa è « una garanzia totale di indipendenza » rispetto alle comunità native. Il governo, dunque, cercherà di recuperare il dialogo con le comunità indigene, finora naufragato mediocremente. Nessuno in Perù giustifica le violenze contro la polizia da parte di alcuni nativi. La condanna è unanime. Tutte le associazioni per la difesa dei diritti umani hanno espresso il loro cordoglio alle famiglie degli agenti uccisi a Bagua. Ma si moltiplicano le critiche contro l’intervento sproporzionato della polizia a Bagua e l’uso delle armi contro i civili. Oltre alle polemiche mosse da una parte della stampa, analisti e Ong, il governo deve affrontare ora le voci discordanti di alcuni ministri. La responsabile del dicastero della Donna, Carmen Vildoso, ha presentato le sue dimissioni. Non era d’accordo con il polemico spot diffuso in tv dal governo, nel quale i manifestanti di Bagua vengono definiti degli ' estremisti'. Anche il ministro dell’agricoltura, Carlos Leyton, sta analizzando la possibilità di uscire dal governo. Nel frattempo il leader indigeno Alberto Pizango, responsabile dell’Aidesep ( Associazione interetnica sviluppo della selva) – accusato di sedizione e della morte degli agenti della polizia – si è rifugiato all’ambasciata del Nicaragua, a Lima. L’Aidesep rigetta le accuse del governo e parla di « genocidio». Una funzionaria della sede diplomatica, Tasha Julia del Pozo, ha confermato che Managua ha accettato la richiesta di asilo politico di Pizango. Nel frattempo si mantiene una certa confusione sulle vittime mortali degli scontri dello scorso fine settimana. La responsabile peruviana di Amnesty International, Silvia Loli, ha spiegato che circola molta « informazione spazzatura, che bisogna confermare » . Le testimonianze sui corpi di nativi gettati nei fiumi ( da verificare) scuotono l’opinione pubblica. Servono indagini e osservatori indipendenti.
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