Domenica all’Angelus, Benedetto XVI ha levato la sua voce a favore dei profughi provenienti dall’Eritrea e dei loro compagni di sventura, ancora prigionieri di spietati trafficanti di uomini (così come ha invocato attenzione per i cristiani e i musulmani iracheni e per i fedeli copti egiziani). L’appello e la preghiera del Papa vengono a rompere con il fragore della parola più autorevole la cortina di silenzio che ha avvolto finora la vicenda dei migranti respinti, arrestati e ricattati. Il Santo Padre, affacciandosi davanti ai fedeli raccolti in piazza San Pietro e parlando a tutti coloro che lo seguivano via radio, tv e Internet, «in questo tempo di Avvento, in cui siamo chiamati ad alimentare la nostra attesa del Signore e ad accoglierlo in mezzo a noi», ha invitato «a pregare per tutte le situazioni di violenza, di intolleranza, di sofferenza che ci sono nel mondo, affinché la venuta di Gesù porti consolazione, riconciliazione e pace». Benedetto XVI ha poi elencato i gruppi che attualmente più sono colpiti. «Penso alle tante situazioni difficili, come i continui attentati che si verificano in Iraq contro cristiani e musulmani, agli scontri in Egitto in cui vi sono stati morti e feriti, alle vittime di trafficanti e di criminali, come il dramma degli ostaggi eritrei e di altre nazionalità, nel deserto del Sinai». «Il rispetto dei diritti di tutti – ha sottolineato il Pontefice – è il presupposto per la civile convivenza. La nostra preghiera al Signore e la nostra solidarietà possano portare speranza a coloro che si trovano nella sofferenza», ha quindi concluso papa Ratzinger.
Cinquecento dollari a testa, semplicemente per tenere in vita i propri cari. Tanto hanno dovuto pagare i familiari dei 250 profughi africani prigionieri da settimane nel deserto del Sinai. Domenica mattina, infatti, era scaduto l’ultimatum imposto dai sequestratori ai familiari dei profughi. Per il momento non ci sono stati nuovi morti ma la situazione è ormai al limite: «Fate presto, siamo allo stremo», è l’appello che i sequestrati fanno arrivare in Italia attraverso don Mussie Zerai, sacerdote eritreo che tiene i contatti con il gruppo dei sequestrati. «Ho avuto modo di sentirli questa mattina (ieri, per chi legge) – spiega Mussie Zerai –. La situazione è delicata: i sequestratori sono innervositi dal tam tam mediatico che si è sollevato attorno alla situazione». Il rischio, ora, è che il gruppo di 250 profughi africani (tra cui 74 eritrei) venga trasferito in un nuovo nascondiglio. «Hanno paura di essere portati in un altro rifugio e che le loro sofferenze continuino ancora», aggiunge Mussie Zerai.Uomini e donne, alcune delle quali incinte, incatenati e percossi, marchiati a fuoco «come schiavi», raccontano nelle disperate telefonate ai familiari. E sono gli stessi sequestratori a tenere in mano il telefono durante la conversazione e a fare pressione affinché la conversazione si chiuda sempre con lo stesso appello: «Manda i soldi o mi uccidono».È l’ennesima vessazione, l’ennesima violenza subita da queste persone in fuga dalla Somalia, dal Sudan o dalla dittatura eritrea. Molti di loro erano già giunti a Tripoli per cercare di imbarcarsi e raggiungere così l’Italia, la salvezza. Un sogno durato poche ore: vennero respinti in mare dalle motovedette italiane e consegnati ai poliziotti libici. A questo punto non restava che una possibilità: entrare in Egitto, attraversare il deserto del Sinai e cercare di raggiungere Israele per chiedere asilo. Costo dell’impresa, duemila dollari. Ma, una volta giunti nel deserto, i trafficanti hanno alzato il prezzo e preteso 8mila dollari. Soldi che i mercanti di carne umana vogliono ottenere a ogni costo. Lunedì scorso tre uomini sono stati freddati con un colpo di pistola: un monito agli altri disperati. Il giorno dopo, altre tre persone sono state uccise a bastonate dopo un fallito tentativo di fuga. Giovedì quattro sono stati portati via dai loro carcerieri: «Agli altri hanno detto che sarebbero stati operati per espiantare un rene, visto che non potevano pagare», racconta don Mussie Zerai.Non è la prima volta che la penisola del Sinai diventa teatro di sequestri da parte dei trafficanti di uomini. «I profughi, proprio perché sono particolarmente vulnerabili, sono facili vittime per queste bande di predoni dedite anche al traffico di droga e armi», spiega Christopher Hein, direttore del Consiglio italiano per i rifugiati. «È però la prima volta che si accendono i riflettori su questi episodi – conclude Hein –. L’attenzione della comunità internazionale è un segnale estremamente positivo. La nostra speranza è che i sequestratori possano fare un passo indietro». Non resta quindi che confidare nella diplomazia. «L’appello del Papa è stato molto importante per richiamare l’attenzione della comunità internazionale su questo dramma – conclude Mussie Zerai –. Speriamo che venga accolto e che i governi si muovano per sollecitare il governo egiziano a intervenire per salvare queste persone».