lunedì 24 agosto 2015
La scorsa settimana l’esercito israeliano ha distrutto almeno 63 case e strutture finanziate anche dall'Unione europea. Preoccupazione del segretario generale Onu.
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Ondata di demolizioni in Cisgiordania. La scorsa settimana, l’esercito israeliano ha distrutto almeno 63 case e strutture finanziate con fondi internazionali, lasciando 132 persone, di cui 82 bambini, senza tetto. La notizia e la condanna arriva da organizzazioni umanitarie, che hanno reso noto questo bilancio. È questo il bilancio dell’ultima ondata di demolizioni del governo israeliano, la peggiore degli ultimi tre anni, che la scorsa settimana ha investito dieci comunità palestinesi dell’Area C della Cisgiordania. Tra gli edifici demoliti, anche 12 strutture finanziate e costruite per necessità umanitarie, tra cui un pannello solare, una latrina portatile, alcuni recinti per animali e delle tende finanziate dall’Unione Europea. La denuncia arriva da 31 organizzazioni umanitarie internazionali che, alla luce dei dati forniti dall’agenzia Ocha delle Nazioni Unite, chiedono ai leader mondiali di adottare misure urgenti per fermare le demolizioni in corso e dichiarare il governo di Israele responsabile per la distruzione indiscriminata di proprietà palestinesi e dei progetti finanziati da aiuti internazionali nel territorio occupato della Cisgiordania. Secondo le suddette organizzazioni, i donatori internazionali dovrebbero chiedere il risarcimento dei costi finanziari per le strutture andate distrutte: dal 2012, sebbene l’Unione Europea avesse richiesto pubblicamente al governo israeliano di tutelare i suoi progetti nell’Area C, centinaia infrastrutture umanitarie sono state demolite o sequestrate. Si stima che nel solo 2015 almeno 356 strutture, di cui ben 81 finanziate da progetti di cooperazione internazionale, siano state demolite nell’Area C della Cisgiordania. "Le demolizioni stanno spingendo i palestinesi al limite, distruggendo ogni prospettiva per una soluzione di pace. – afferma Catherine Essoyan, direttrice regionale di Oxfam – Invece di sviluppare le proprie comunità e i loro mezzi di sussistenza, migliaia di palestinesi dell’Area C sono costretti a vivere in miseria, con la costante paura che domani la loro casa potrebbe non esserci più e potrebbero essere obbligati a lasciare la loro terra”.

Le demolizioni vengono effettuate all’interno del piano del governo israeliano per “trasferire” 7.000 palestinesi che vivono in 46 comunità dell’Area C. Il progetto riguarda anche i beduini e le comunità pastorali delle aree centrali della Cisgiordania e della zona E1 di Gerusalemme, porzioni di territorio in cui il governo israeliano pianifica di espandere insediamenti giudicati illegali dal diritto internazionale. Un piano sempre più osteggiato e criticato dalla comunità internazionale: il Segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon ha dichiarato che, se portato a termine, il piano di delocalizzazione di Israele equivarrebbe a un “trasferimento forzato” e a una grave violazione della Quarta Convenzione di Ginevra. "Il rapido aumento di demolizioni dimostra che dobbiamo andare oltre le parole. – afferma Tony Laurance, amministratore delegato di Medical Aid for Palestinians – È assolutamente necessaria un'azione concertata per fermare queste violazioni del diritto internazionale, che rischiano sempre più di diventare la norma nella questione israelo-palestinese. Non riusciremo a raggiungere una soluzione equa e duratura al conflitto senza prima garantire il rispetto del diritto internazionale umanitario". Alcune delle comunità interessate dal piano di “delocalizzazione” sono state tra le più colpite dalle demolizioni dell’ultima settimana: ciò ha sollevato molta preoccupazione sulla possibilità che il governo di Israele stia usando tattiche coercitive per “spingere via” i residenti palestinesi. Inoltre, uno stesso destino sembra incombere su altre comunità palestinesi che pure restano escluse dal piano. Comunità come il villaggio palestinese di Susiya che, pur non rientrando nelle aree di intervento del governo israeliano, potrebbe essere anch’esso sottoposto a demolizione di massa e trasferimento forzato nelle prossime settimane. Il governo di Israele ha cercato di giustificare le demolizioni nell’Area C con la mancanza dei permessi di pianificazione e costruzione, che vengono regolarmente negati alla popolazione palestinese: l’amministrazione civile israeliana (Ica), l’organismo che gestisce la pianificazione e la suddivisione in zone dell’Area C, negli ultimi anni ha infatti rifiutato fino al 94% delle domande palestinesi per permessi di costruzione, emettendo allo stesso tempo oltre 12.500 ordini di demolizione nell’Area C per case, scuole, stalle, cisterne e forni.
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