Si allarga il fronte delle alluvioni in Pakistan. Con esso crescono il numero delle vittime, ormai 1.500 i morti accertati, e i casi di colera, gastroenterite e dissenteria, che secondo le autorità sanitarie avrebbero già superato i 100mila.Dalla regione del Khyber al confine afghano, di cui da sempre rappresenta l’accesso più diretto, all’Azad Kashmir (il Kashmir libero, ovvero rimasto al Pakistan a ridosso della linea d’armistizio con l’India, che è oggi il più lungo ed elevato fronte tra due Paesi), l’intera regione montuosa settentrionale del Pakistan, un’area vasta oltre metà dell’Italia, è sott’acqua e in lutto, con 30mila persone che attendono di essere soccorse sui tetti delle loro case.Se si aggiungono le aree della provincia del Baluchistan e di quella del Punjab, da giorni battute da piogge torrenziali e soggette a piene devastanti, un terzo del Paese è interessato dall’emergenza e con esso, come confermato dalla Croce Rossa, 2,5 milioni di pachistani. In regioni sovente fuori controllo del governo centrale per autonomia riconosciuta o per pretesa d’indipendenza sostenuta dai kalashnikov, il governo di Islamabad può fare ben poco se non contare il crescente numero di vittime e danni che sono già oggi al di sopra delle sue possibilità.I muri d’acqua, che improvvisi riempiono le valli più scoscese o i letti ampi ma spesso privi di argini dei fiumi maggiori, non hanno lasciato scampo a tantissimi villaggi. Il maggior numero di vittime si conta proprio nelle aree dove le vallate si aprono per entrare nella pianura del Kabul e dell’Indo. Zone che allineano tra Peshawar e Islamabad un gran numero di centri abitati, tra cui Nowshera e Charsadda.Con minori perdite di vite umane ma gravi danni, anche le aree montane, i distretti di Swat, Dir, Buner, Malakand, Chitral, Gilgit-Baltistan, crocevia di culture e di conquiste da anni infiltrati dalla guerriglia taleban, hanno subito un urto che mai nelle valli un tempo percorse dai commerci sulla Via della Seta e dai pellegrini buddhisti ricordano tanto brutale e i dati storici riportano indietro di almeno 80 anni.Circa 4mila le case finora distrutte, decine di strade principali sono state interrotte e i soccorsi in diverse regioni dovranno aspettare un deflusso che elimini anche il costante pericolo delle frane, che nelle valli più esposte hanno cancellato intere comunità. Sono 1.500 i turisti bloccati ma non in pericolo nello Swat.Oggi fierezza tribale e orgoglio di fede, la tenacia degli agricoltori e dei pastori, persino la potenza dei mezzi militari sono inermi davanti alla forza delle acque e gli sfollati sanno che per loro, in questo Paese sempre sulla linea della povertà e del sottosviluppo, attraversato dai semi dell’odio religioso e dell’intolleranza, potranno contare – una volta salvata la vita – solo su se stessi e sulla solidarietà internazionale. Solidarietà che sta attivandosi. Le Nazioni Unite hanno stanziato 10 milioni di dollari, la Cina, tradizionale alleato e anch’essa colpita in questi giorni dalla furia delle acque, ha reso disponibili 1,5 milioni di dollari; Stati Uniti e Unione Europea stanno approntando propri soccorsi. In tutto finora sono stati promessi 60,8 milioni di dollari, ma l’Onu ha chiesto al mondo di fare di più.Da ieri, nuove piogge monsoniche, da lungo previste ma mai come quest’anno improvvide, hanno cominciato ad affacciarsi sul Paese e si teme un peggioramento ulteriore della situazione. Il governo ha promesso un sostegno di 300mila rupie (circa 2.700 euro) per ciascuna famiglia colpita, ma ha dovuto ammettere la sconfitta sul fronte della prevenzione e dei primi soccorsi.