Non soltanto emarginazione religiosa e persecuzione. La vita dei cristiani in Pakistan è segnata da una profonda arretratezza. In parte frutto delle loro origini tra gruppi di bassa casta o fuoricasta. Retaggio dell’epoca in cui l’India era unita sotto i britannici, prima della separazione che creò nel 1947 una patria separata per i musulmani. Il cristianesimo si diffuse fra gli esclusi del sistema: spesso i missionari erano gli unici difensori dei fuori-casta. Il pregiudizio di appartenere a gruppi sociali inferiori si è conservato anche dopo il passaggio del territorio al Pakistan. A confermarlo, un’indagine indipendente condotta da un’organizzazione cristiana guidata dall’attivista Basharat Yaqoob, pubblicata dal
Pakistan Christian Post.
Che i cristiani vivano nella carenza di istruzione, sanità, alloggi, occupazione; che subiscano discriminazioni nel mondo degli affari e, non ultima, accusino la difficoltà a vedere applicate leggi e giustizia, può non sorprendere, ma i dati pubblicati sono comunque pesanti. Il tasso di disoccupazione è elevato. E, il 65 per cento degli uomini impiegati, sono incaricati di tenere puliti canali di scolo e latrine pubbliche, mentre il 29 per cento delle donne, incluse tante minorenni, lavorano come domestiche. Tantissimi, anche minori, lavorano in condizioni di semi-schiavitù nelle fabbriche di mattoni. In questa condizione non sorprende che il 67 per cento delle famiglie cristiane si possano definire «molto povere», che per l’81 per cento vivano in condizioni abitative precarie; infine, che solo il 4 per cento raggiungano un livello d’istruzione adeguato. Ci sono indubbiamente responsabilità a vario livello. Al punto che il rapporto chiede in modo accorato: «Dove possiamo rivolgerci per avere servizi necessari? Qual è la soluzione per potere avere un’esistenza meno precaria e un futuro?». Risposte difficili da trovare, in un Paese che nel complesso arretra sulla scala del benessere. Mentre cresce la diseguaglianza. Povertà e disillusione diffuse che sono anche in parte causa della radicalizzazione religiosa e delle contese che pesano come macigni sulla quotidianità delle comunità cristiane. Non esistono, contrariamente a altre collettività, programmi di auto-costruzione edilizia. Di conseguenza, molte famiglie sono costrette a vivere in accampamenti o rifugi precari presso le principali condotte fognarie delle città. In quali condizioni è facile immaginare.
Come se non bastasse, sulla loro precarietà pesa ora anche la volontà di ripulire dagli slum vaste aree metropolitane. Sono 40mila i cristiani a rischio di espulsione nei sobborghi di Islamabad. A salvarli per ora il blocco decretato il 27 agosto dalla Corte suprema in attesa che l’autorità chiarisca le ragioni dei provvedimenti. Finora le demolizioni hanno reso senzatetto 20mila individui e tra questi 25 famiglie di battezzati. Come ha ricordato a
UcaNews, Salim Michael, consigliere legale della Commissione Giustizia e Pace della Conferenza episcopale: «La maggioranza delle persone a rischio espulsione sono stati portati a Islamabad per lavori di basso livello e ora vogliono espellerli.