La polizia pachistana nel distretto di Jhang, nella provincia del Punjab, ha accusato di blasfemia 68 avvocati musulmani, in maggioranza sciiti, che il 7 maggio avevano inscenato una protesta contro un agente di polizia. Lo rende noto l'agenzia
Fides.Secondo la denuncia, presentata su istigazione di un leader estremista musulmano sunnita, gli avvocati avevano insultato il califfo Umar bin Khattab, compagno del Profeta Maometto. Gli avvocati chiedevano il licenziamento del capo della polizia locale, Umar Daraz, che aveva percosso e detenuto illegalmente uno dei loro colleghi. Daraz condivide lo stesso nome del califfo e dunque gli avvocati, pronunciandolo, avrebbero offeso il compagno del profeta. In risposta all’abuso, l’associazione degli avvocati ha proclamato tre giorni di sciopero, annunciando che la protesta proseguirà finchè le accuse non saranno ritirate.Padre Yousaf Emmanuel, Direttore nazionale della Commissione “Giustizia e Pace” della Conferenza Episcopale del Pakistan, commenta all’agenzia
Fides: “L’accusa agli avocati è formulata secondo l’articolo 295/a del Codice Penale, dunque è più leggera, ma è pur sempre blasfemia. E l’ennesimo caso di patente abuso. La questione è sempre molto delicata, non si sa mai cosa possa accadere. Ma, in tal caso, credo che, entro due o tre giorni, grazie all’intervento della politica, la disputa intra-musulmana sarà sanata, senza conseguenze. Diverso è quando è coinvolto un cristiano: allora vi sono omicidi o attacchi di massa, senza avere nemmeno la possibilità o il diritto di difendersi. A settembre 2013, dopo la strage di cristiani nella chiesa di Peshawr, il Capo della Corte Suprema disse che se un luogo di culto di qualsiasi religione fosse stato dissacrato, i colpevoli sarebbero stati incriminati per blasfemia, secondo l’articolo 295 del Codice penale. Ma nel caso dell’attacco alla Joseph Colony di Lahore (marzo 2013), quando alcune chiese furono rase al suolo da musulmani estremisti, non è ancora stato incriminato nessuno per blasfemia. Intanto il cristiano Sawan Masih, ingiustamente accusato proprio in quel frangente, è stato condannato a morte. C’è una discriminazione e una applicazione selettiva della blasfemia”.Il distretto di Jhang è noto per essere il luogo di nascita del gruppo radicale islamico “Sipah-e- Sahaba Pakistan”, uno dei più violenti gruppi estremisti sunniti del paese, bandito nel 2012. La blasfemia è divenuta un campo minato per giudici, giornalisti, avvocati, attivisti per i diritti umani, politici, per i quali un passo sbagliato può avere conseguenze mortali. La scorsa settimana, l’avvocato e attivista per i diritti umani Rashid Rehman è stato ucciso nel suo ufficio a Multan, in Punjab, perché difendeva un uomo accusato di blasfemia.Le accuse di blasfemia sono cresciute nell’ultimo decennio: secondo un recente rapporto del “Center for Research and Security Studies”, think-tank con sede a Islamabad, nel 2011 le denunce sono state 80, contro un solo caso nel 2001.
La cosiddetta “legge sulla blasfemia” consta di alcuni articoli del Codice penale del Pakistan: il 295, che punisce la dissacrazione dei luoghi di culto, di tutte le religioni; il 295/a che punisce l’offesa di generici “sentimenti religiosi”. A questi si aggiungono il 295/b sulla dissacrazione del Corano (punibile con l'ergastolo), il 295/c per il vilipendio al Profeta Maometto (prevista la pena di morte). Questi ultimi due commi furono promulgati dal dittatore filo-islamista Zia-ul-Haq (1978-1988) tra il 1984 e il 1986.