Una torta bianca è stata posata in mezzo al grande tavolo. Tra sorrisi e strette di mano, gli ospiti si scambiano gli auguri di Natale. Fra di loro c’è qualche volto che tradisce curiosità, e intanto si guarda attorno. In quegli occhi, giovani, forse, c’è anche un pizzico di imbarazzo. Pregano un’altra religione ed è la prima volta che osservano da vicino la casa del vescovo cattolico, monsignor Joseph Cutts. La torta è morbida, soffice di crema. Come l’armonia che si respira nel refettorio vescovile di Faisalabad; ma è anche bianca, un colore preciso. Simbolo di una atmosfera che vuole essere ancora più cordiale e che richiama l’immagine della colomba, quella della pace. La torta è stata portata dai rappresentanti della comunità islamica di Faisalabad, terza città del Pakistan. Regalo di Natale per monsignor Cutts, al vertice di una diocesi di 35mila chilometri quadrati, con 31 milioni di abitanti, e tra loro, sparse a macchia di leopardo, delle piccole enclave di 175mila cattolici. Tutti gli altri, tranne qualche esigua minoranza cristiano-protestante e hindu, sono seguaci di Maometto e si rivolgono ad Allah. Undici sono i predicatori islamici che siedono accanto al vescovo. Ognuno di loro rappresenta la propria moschea, dunque la propria comunità. Certo, non sono tutti i rappresentanti dell’islam di Faisalabad. Quelli più radicali sono rimasti a casa loro. Ma questi undici, insieme al vescovo, fanno il dialogo interreligioso. È un incontro che non ha niente di sorprendente, di eccezionale o di singolare: è un un momento di festa per Natale e dialogo che porta con se una lunga tradizione. Radici che affondano nel profondo della storia del Pakistan e nelle vere relazione tra musulmani e cristiani. Un passato fatto di tolleranza, che, oggi, cerca di resistere a un presente dove sembra che tutto, invece, debba crollare da un momento all’altro di fronte a un crescendo di intolleranza nei confronti delle minoranze religiose. Il Pakistan, certo, non è tutto dolce come la torta offerta dagli ulema di Faisalabad, o di altre comunità del “Paese dei puri”. Questa è una nazione, 170 milioni di abitanti, 95 per cento di religione musulmana, essa stessa vittima dalla sua fondazione, nel 1947, di oscure lotte di potere che si intrecciano a corruzione politica, traffici illegali, conflitti geopolitici e sfruttamento della religione come arma che ha portato alla morte prematura di importanti leader pachistani. Tensioni che resistono al cambiamento, soprattutto nel- le province tribali del Nord, al confine con il martoriato Afghanistan, dove la vita è ancora regolata dai criteri feudali dei clan che si combattono, anche loro in nome di un islam, che sia sunnita o sciita non ha importanza, e che non rispondono al potere centrale. Mentre il terrorismo islamista si espande a macchia d’olio. «Il nostro non è un Paese facile per chi non lo conosce. Ma nonostante questi tempi difficili, noi ulema intendiamo continuare a coltivare le radici della reciproca tolleranza, per farle crescere dentro un futuro che sia migliore. Lo scambio degli auguri è uno di questi momenti», evidenzia un anziano ulema, in casa del vescovo Cutts. «Anche quest’anno siamo venuti in segno di pace, a esprimere solidarietà e vicinanza ai cristiani – osserva il giovane predicatore dalla folta barba, ma senza baffi –, per ribadire che l’islam non ha nulla a che fare con chi perseguita le minoranze religiose pachistane o con chi pratica ogni forma di terrorismo, spacciandolo per verità, attraverso falsi indottrinamenti ». Sono molti i capi religiosi musulmani che i queste ore portano il loro auguri natalizio sicuramente in tutte le 114 parrocchie cattoliche distribuite in Pakistan, per festeggiare la nascita di Gesù Cristo. Con loro ci sono anche le autorità politiche e amministrative. Lo scambio di auguri è reciproco e avviene sempre nei momenti più importanti delle rispettive celebrazioni. Quando i musulmani “rompono” il digiuno del ramadan, esponenti della chiesa cristiana ricambiano la cortesia di una visita: «Con una torta che sia dolce come la convivenza». Mentre nel refettorio del vescovo di Faisalabad, gli ulema, predicatori del Gesù profeta di Allah, e il vescovo, del Dio Redentore dei credenti cristiani si scambiano impressioni e commenti su questo Natale, con ancora aperto lo spinoso caso di Asia Bibi, la cristiana accusata di avere insultato Maometto, e per questo condannata a morte da un tribunale, il cortile del vescovado, affacciato sulla cattedrale santi Pietro e Paolo, si va man mano riempiendo di fedeli per la preghiera di mezzogiorno. Un tiepido sole regala una bella giornata di festa, prima della messa. Sulle bancarella sono esposti crocifissi, rosari, Vangeli in lingua urdu, libri, canti religiosi e dvd sulla vita di Gesù. Ci sono anche pezzi di storia del cinema americano: “I dieci comandamen-ti”, “Quo vadis?”. I bambini preferiscono inseguire il carretto dei gelati, mentre i ragazzi un po’ più grandi vestiti alla moda, povera, dei marchi “made in china”, si pavoneggiano per cercare di attirare lo sguardo delle ragazze. Purtroppo, pero, senza troppo grattare, sotto questa atmosfera di gioia che deve essere il Natale è facile rendersi conto della reale situazione di tensione e pericolo: basta rivolgere lo sguardo verso il cancello d’ingresso del vescovado . Ed è come entrare in un’altra dimensione, una realtà cupa. Dove è la paura a dominare la vita quotidiana del Pakistan delle minoranze, ma non solo, prigioniero del terrorismo fondamentalista che uccide in nome di un dio di morte. Posti di controllo, transenne, strade sbarrate, poliziotti armati, tiratori sui tetti delle case, agenti in borghese mischiati ai fedeli. E i metal detector a cercare eventuali armi sulla gente in fila che vuole andare solo a pregare «Jesu paida hua hai», in lingua urdu «Gesù è nato». «Una militarizzazione dei luoghi di culto di noi cristiani, mai vista prima d’oggi. E non la ricordo neppure in passato – osserva un prete pachistano –. Lo hanno voluto a tutti i costi le autorità centrali e comunali. Si sentono sotto lo sguardo critico dell’opinione pubblica internazionale e non vogliono che accada nulla, visto che in Pakistan non passa giorno senza che non si registrino vittime per colpa di qualche attacco suicida. Tutto è possibile dove la mente umana si fa malvagia». «Cioè capace di affidare una bomba a un povero disperato, come sempre più spesso accade – spiega il sacerdote –, convincendolo che è la sua ricompensa, la sua redenzione, il suo riscatto dalla povertà e dall’ignoranza: è così che succede, è così che qualcuno approfitta della povera gente, facendogli credere che gli altri sono il male. Tutte vittime innocenti, come lo sarà lo stesso incosciente attentatore, che va a uccidersi in mezzo a il dio di ognuno che predica solo la pace».