«Sul caso di padre Murphy non vi è stato alcun insabbiamento»; così scrive l'Osservatore Romano a proposito della vicenda che secondo il New York Times avrebbe visto l'allora cardinale Joseph Ratzinger occultare la vicenda di un prete pedofilo statunitense. Secondo il quotidiano della Santa Sede, la ricostruzione fatta della vicenda è «funzionale all'evidente e ignobile intento di arrivare a colpire, a ogni costo, Benedetto XVI e i suoi più stretti collaboratori».
Trasparenza e severità. Nell'articolo L'Osservatore ricorda che «trasparenza, fermezza e severità nel fare luce sui diversi casi di abusi sessuali commessi da sacerdoti e religiosi» sono i criteri che Benedetto XVI «con costanza e serenità sta indicando a tutta la Chiesa». Un modo di operare, si legge, «che evidentemente è temuto da chi non vuole che si affermi la verità e da chi preferirebbe poter strumentalizzare, senza alcun fondamento nei fatti, epidosi orribili e vicende dolorose risalenti in alcuni casi a decine di anni fa». Lo dimostra, ultimo in ordine di tempo, l'articolo pubblicato dal The New York Times. «Secondo la ricostruzione fatta nell'articolo – continua l'Osservatore Romano – le segnalazioni relative alla condotta del sacerdote furono inviate soltanto nel luglio 1996 dall'allora arcivescovo di Milwaukee, Rembert G. Weakland, alla Congregazione per la Dottrina della Fede, di cui erano prefetto il cardinale Joseph Ratzinger e segretario l'arcivescovo Tarcisio Bertone, al fine di ottenere indicazioni circa la corretta procedura canonica da seguire. La richiesta non era infatti riferita alle accuse di abusi sessuali, ma a quella di violazione del sacramento della penitenza, perpetrata attraverso l'adescamento nel confessionale, che si configura quando un sacerdote sollecita il penitente a commettere peccato contro il sesto comandamento (canone 1387)».
Nessun insabbiamento. Il giornale della Santa Sede fa anche notare che la questione canonica presentata alla Congregazione «non era collegata con una potenziale procedura civile o penale nei confronti di padre Murphy. Contro il quale l'arcidiocesi aveva peraltro già avviato una procedura canonica. Alla richiesta proveniente dall'arcivescovo la Congregazione rispose, con lettera firmata dall'allora arcivescovo Bertone, il 24 marzo 1997, con l'indicazione di procedere secondo quanto stabilisce la Crimen sollicitationis (1962)». La conclusione è che «sul caso di padre Murphy non vi è stato alcun insabbiamento. E ciò viene confermato dalla documentazione che si accompagna all'articolo in questione, nella quale figura anche la lettera che padre Murphy scrisse nel 1998 all'allora cardinale Ratzinger chiedendo che il procedimento canonico venisse interrotto a causa del suo grave stato di salute».