La morte in carcere, nella notte tra lunedì e martedì di Fanish Masih, sta accendendo gli animi dei cristiani del Pakistan, già sottoposti negli ultimi mesi a pressioni e attacchi, anche sanguinosi. Il cristiano, appena ventenne era stato arrestato il 12 settembre, il giorno dopo che una folla di musulmani aveva assaltato e incendiato l’edificio che serviva per le celebrazioni dei riti cristiani – protestanti ma a volte anche cattolici – nel villaggio di Jaithikey, presso la popolosa città di Sialkot, nel Punjab. Per la polizia, la morte di Fanish sarebbe suicidio, ma per alcuni, sarebbe invece un omicidio. Dura l’accusa Nadeem Anthony, membro della Commissione pachistana per i diritti umani, che in un’intervista all’agenzia
AsiaNews ha definito «insensata» la versione della polizia, secondo cui «il giovane si sarebbe impiccato in carcere». Proprio lunedì i giudici avevano confermato il provvedimento di custodia cautelare a carico di Fanish, 20 anni, accusato da parte musulmana per avere dissacrato, strappandola dalle mani di una giovane del villaggio e gettandolo al suolo, un fascicolo con brani del Corano. Nei fatti, probabilmente un episodio nata da una relazione contrastata tra i due giovani, che è stata pretesto per un nuovo episodio di violenza anticristiana. Fanish, si era reso in un primo momento irreperibile, mentre il padre era stato fermato. Il giovane, rintracciato il giorno successivo, era stato trasferito nel carcere distrettuale di Sialkot per essere interrogato. Ieri mattina, riporta ancora
Asia News, i secondini hanno trovato il corpo del giovane privo di vita e con i segni di ferite. Questa circostanza ha portato la Commissione pachistana per i diritti umani a parlare di torture che avrebbero causato il decesso. «Sono visibili – ha aggiunto Nadeem Anthony – i segni delle percosse e delle ferite sul corpo, registrate da alcune fotografie», non compatibili con la tesi dello strangolamento per impiccagione.Due giorni fa, la Commissione nazionale Giustizia e Pace aveva espresso «grande preoccupazione» per l’aumento dei casi di violenze contro le minoranze religiose in Pakistan: otto quelle organizzate contro le comunità cristiane e molti i casi isolati dall’inizio dell’anno. Ultimo caso, il 12 settembre, quando una folla guidata dal leader religioso locale, ha attaccato un insediamento cristiano a Orangi, nei sobborghi della grande metropoli meridionale di Karachi. Qui, un cristiano quarantenne è sfuggito al linciaggio solo per l’intervento della polizia. A scatenare la rabbia dei musulmani verso la piccola comunità cattolica locale, costretta alla fuga, ancora una volta l’accusa di blasfemia sufficiente, secondo il codice penale pachistano, per comminare pene severe e sovente pretesto di esecuzioni sommarie.Un problema che comincia a preoccupare anche il nostro Paese. Ieri la questione «della difesa del diritto di fede e della tutela delle minoranze religiose» è stato sollevato dall’Italia durante la riunione dei ministri degli Esteri della Ue, a Bruxelles. Come ha riferito il sottosegretario agli Esteri Alfredo Mantica, la rappresentanza del nostro Paese ha «fatto riferimento ai fatti recentemente avvenuti in Pakistan ed abbiamo chiesto alla Ue un’azione incisiva, se non altro in termini di linguaggio, sulla risoluzione che apparirà all’assemblea generale dell’Onu intitolata: “Eliminazione di ogni forma di intolleranza e di discriminazione fondate sulla religione o sul credo”».