A due anni dalle violenze che lo interessarono a partire dal 23 agosto 2008, il Kandhamal ricorda le sue vittime ma sempre più mostra una reazione della sua gente e dei tanti gruppi, confessionali e non confessionali che la sostengono.Una serie di iniziative che hanno nei tre giorni del Tribunale nazionale popolare per il Kandhamal dal 22 al 24 agosto a Delhi, il Kandhamal Day in diverse località del Paese il 25 e la Giornata dei martiri cristiani il 29, le espressioni maggiori.Una popolazione di 700mila abitanti, al 75 per cento sotto la linea della povertà, ultimo nel già arretrato Orissa come indice di sviluppo umano, il Kandhamal ospita una popolazione in maggioranza tribale che da tempo ha trovato nella conversione al cristianesimo una identità nuova che, seppure tra notevoli difficoltà ma senza coercizioni, l’ha tolta dalla morsa degli aspetti più retrivi e discriminatori dell’induismo, o al limbo socio-culturale dell’animismo cui legge e tradizione non danno alcun significato.Il nuovo censimento, la macchina gigantesca che entro l’anno prossimo segnalerà dimensioni concrete e identità della popolazione dell’India che sfiora 1,2 miliardi di persone, prevederà l’indicazione della casta di appartenenza. Una scelta “tecnica” che per la maggioranza guidata dal laicista partito del Congresso – di cui è presidente Sonia Gandhi – disegnerà con maggiore precisione la mappa socio-religiosa del Paese in vista di una migliore ripartizione di opportunità e benefici previsti per i gruppi meno favoriti; il riconoscimento di fatto di una realtà che l’India indipendente come prima quella sotto la dominazione britannica non ha saputo e in parte voluto cancellare e che ancora oggi segna il destino per nascita di centinaia di migliaia di indiani di bassa casta o fuoricasta, come pure gli appartenenti a fedi ed etnie minoritarie.Linea del fronte su cui i movimenti radicali indù hanno portato il loro attacco ai cristiani e al pluralismo dell’India, il Kandhamal è la trincea su cui i cristiani – a loro volta sostenuti da un gran numero di movimenti e organizzazioni confessionali e non – si sono attestati nel tentativo di difendere il loro futuro e quello della democrazia indiana.Due anni di vita randagia, di povertà, di umiliazioni per una giustizia che fatica a farsi strada, di paura nei villaggi che ancora e sovente diventa violenza che preclude ai fuggiaschi un rientro nelle loro case o a quanto resta delle loro proprietà, sono stati una dura lezione per l’ideale di convivenza del Paese. Gli attacchi, organizzati a partire dal 25 agosto 2008, hanno lasciato ufficialmente 600 villaggi devastati, 5.600 abitazione saccheggiate e incendiate, 54mila senzatetto e 38 morti. I gruppi per i diritti umani stimano in almeno un centinaio le vittime, tra queste anziani, disabili, donne e bambini; contano 295 chiese distrutte, ma anche scuole e istituzioni mediche devastate. I responsabili sono ancora in maggioranza liberi di muoversi e minacciare per le strade ora trasformate dal monsone in fiumi di acqua e di fango nel distretto e dello Stato di Orissa, mandanti e organizzatori intoccabili altrove. Per ricordare tutto questo, e per individuare un futuro diverso per l’India che sa ancora esprimere ideali alti fra contraddizioni palesi e violenza latente, le tante forze che convergono nel National Solidarity Forum (Centro per la solidarietà nazionale) manifesteranno a livello locale e nazionale. Come dice Jagadish Chandra, che a Bangalore ha organizzato per il 25 un raduno e una mostra di due artisti dalit che hanno viaggiato nel Kandhamal per raccogliere sensazioni e immagini da porre nelle loro opere, «è il momento di mobilitarci e partecipare alla protesta. Il Kandhamal è solo un simbolo, di una violenza che due anni fa si estese ad almeno dieci Stati dell’India, incluso il nostro Karnataka. Chiediamo a tutti di isolare attivamente le forze fasciste e disgregatrici perché il futuro sia senza altri Kandhmal». Significativamente, proprio a Bangalore, nel giorno dell’Indipendenza, il 16 agosto, Prahlad Remane, esponente del nazionalista e filo-indù Bharatiya Janata Party e membro del Parlamento dello Stato del Karnataka, aveva indicato «la diffusione sistematica del cristianesimo nel Paese» come eredità della colonizzazione britannica chiusasi 63 anni fa. Per l’uomo politico, una «malapianta» da «sradicare al più presto».