martedì 26 agosto 2014
L’Alto commissario Navy Pillay denuncia: «Crimini contro l’umanità. L’Is ha compiuto 670 esecuzioni a Mosul». In cerca della riabilitazione internazionale, Assad si dice disposto a cooperare con Washington per fermare i terroristi.
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Li hanno fatti uscire dal carcere di Badush con le mani legate. Caricati su grossi camion, li hanno portati fino a una landa deserta. Erano tra le mille e le 1.500 persone – cristiani, sciiti, sunniti, turcomanni –, tutti prigionieri. È accaduto il 10 giugno. Il giorno prima, lo Stato islamico (Is, sigla che, dopo la proclamazione del Califfato, ha sostituito quella di Isis) aveva conquistato Mosul e iniziato la “pulizia” della città irachena dai nemici, reali o potenziali. Gli arresti sono stati contestuali alla presa del potere. La mattina successiva è scattata l’ora della punizione. Che è avvenuta su quella landa semi deserta, alla periferia di Mosul. I detenuti sono stati fatti scendere dai veicoli e divisi in due gruppi: i sunniti da una parte, il resto da un’altra. Ai primi è toccato guardare mentre i compagni di prigionia venivano divisi in quattro file e fucilati. Sul terreno, sono rimasti 670 cadaveri. È stato questo il macabro esordio dei jihadisti a Mosul: meno di tre settimane dopo, il 29 giugno, avrebbero proclamato il Califfato nelle zone settentrionali a cavallo tra Iraq e Siria. A rivelarlo, con numerosi dettagli, è stato ieri l’Alto commissario Onu per i diritti umani, Navy Pillay, in base alle informazioni ricevute dai superstiti, ancora in vita perché creduti morti. Da allora, si è assistito a un’escalation di orrore: espulsione dei cristiani, omicidi in massa degli yazidi maschi mentre 2.500 donne e bambini sono stati rapiti e venduti come schiavi, violenze su sciiti e turcomanni. Persecuzioni di tali efferatezza da qualificarsi «crimini contro l’umanità», ha detto Pillay. «Colpiscono sistematicamente uomini, donne e bambini basandosi sulla loro etnia, religione, appartenenza settaria e stanno facendo spietatamente una pulizia etnica e religiosa nelle aree sotto il loro controllo», ha aggiunto. Che ha concluso: «Gravi violazioni dei diritti umani vengono commesse ogni giorno» ovunque si estende l’avanzata di Is. Nelle ultime settimane, i peshmerga curdi sono riusciti a riconquistare alcune posizioni. Ieri hanno ripreso tre villaggi della provincia di Diyala e hanno sferrato l’attacco su Tuz Khurmatu. Dall’altra parte del confine, in Siria, l’Is procede con forza verso Aleppo. Ieri, il vescovo caldeo, Antoine Audo, ha lanciato l’allarme su Radio Vaticana  e ha chiesto l’intervento di «una forza internazionale per la pace. La situazione ad Aleppo è piuttosto difficile con problemi di elettricità, di acqua». Mentre la cittadina di Mahrada, cuore cristiano della regione di Hama, è sotto assedio da giorni da parte dei jihadisti rivali dello Stato islamico, Jabah al-Nusra. A levare la propria voce contro il pericolo fondamentalista sono stati i vescovi tedeschi. Che si sono espressi a favore dell’invio di armi ai peshmerga «per evitare lo sterminio di intere popolazioni». «Insieme a papa Francesco e ai vescovi dell’Iraq chiediamo che il terrore sia arrestato», hanno detto.Mentre la minaccia estremista si fa di giorno in giorno più incombente, il governo di Damasco ha aperto alla possibilità di una cooperazione militare con Usa e Gran Bretagna. Bashar al-Assad sarebbe disposto ad accettare raid anglo americani sul proprio territorio. Ma – ha subito precisato il ministro degli Esteri, Walid al-Muallim – «solo sotto il proprio coordinamento». Il gioco della Siria è fin troppo chiaro. Assad vuole accreditarsi come un partner chiave nella lotta al jihadismo e offrire a caro prezzo la propria collaborazione. In cambio dell’aiuto contro Is, il regime punta a una completa riabilitazione di fronte alla comunità internazionale. A dargli manforte, è subito intervenuta l’alleata Russia. Il ministro degli Esteri, Sergeij Lavrov ha ribadito che «gli Usa devono combattere il terrorismo in collaborazione con i legittimi governi». Ovvero Assad. Nei giorni scorsi, del resto, i media locali davano per assodata una cooperazione “sotto traccia” tra intelligence Usa, britannica e il governo siriano per arginare l’avanzata di Is. Ufficialmente, però, la Casa Bianca tentenna: anche ieri il portavoce ha confermato che il presidente Barack Obama non ha preso alcuna decisione su un eventuale attacco a Is dalla Siria. I republicani, però, incalzano, intensificando la pressione in Congresso.
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