Su Internet è già un eroe, sia per i libertari anti-Stato di destra che per i pseudo-anarchici di sinistra. Julian Assange, il fondatore di Wikileaks, lo ha chiamato un «esempio per tutti noi». Ma intanto Edward Snowden, la talpa dietro le rivelazioni del programma di spionaggio virtuale degli Stati Uniti, è stato costretto a rifugiarsi a Hong Kong, a chiedere asilo all’Islanda e a vivere con la paura di essere «fatto sparire» dalla Cia o di passare il resto dei suoi giorni «in una cella». Nel fine settimana, il 29enne ex tecnico sia della Cia che di un appaltatore dei sistemi di sicurezza Usa aveva detto che non si sarebbe nascosto. Eppure dalle 12 di ieri (ora cinese), quando ha lasciato l’hotel nel quale risiedeva, si sono perse le sue tracce. Esperti legali Usa sono certi che la polizia dell’ex colonia britannica non l’ha perso di vista ed è pronta ad intervenire se e quando gli Stati Uniti emetteranno una richiesta di cattura e di estradizione per il protagonista del “Datagate”. Il fato della giovane “gola profonda”, che ha assicurato di agire «in nome della democrazia e della delusione per la mancata trasparenza di Barack Obama», dipende dunque dai complicati calcoli politici e diplomatici che l’Amministrazione Usa stava facendo ieri febbrilmente dietro le quinte. Fra le pedine da muovere c’è anche il complicato rapporto con la Cina, il cui nuovo presidente è rientrato proprio ieri in patria dopo un non facile incontro con l’omologo americano che si è arenato proprio sullo spionaggio cibernetico. Tanto che ieri si moltiplicavano sulla rete le voci di intelligence secondo cui la Cina potrebbe non essere totalmente estranea alla vicenda.Quando ha scelto Hong Kong per svelare la sua identità come fonte degli scoop del
Guardian sulle intercettazioni segrete Usa di telefonate e dati Internet, a Snowden non deve essere sfuggito che Pechino ha un conto aperto con Washington proprio sulla cyber-sicurezza. Né che il trattato di estradizione di Hong Kong con gli Usa può essere bloccato dalle autorità cinesi, se il suo rispetto mette a rischio «la difesa, gli affari esteri, l’interesse generale o la politica pubblica» della Cina. La Casa Bianca per ora mantiene il «no comment», mentre la statura internazionale di Snowden cresce, rendendo delicato un arresto americano. Decine di gruppi in tutto il mondo hanno infatti abbracciato la sua volontà di «proteggere le libertà fondamentali della gente di tutto il mondo» e di fermare il cammino del governo Usa verso la creazione di una «gigantesca macchina di spionaggio». Ed è già partita una petizione globale per chiedere a Obama di perdonare il giovane. All’imbarazzo del presidente Usa si può aggiungere quello di David Cameron che deve difendersi dalle accuse di aver partecipato al programma di intercettazioni Usa. Il premier britannico ieri ha ribadito infatti la necessità del lavoro di intelligence per proteggere i cittadini in un «mondo pericoloso» e ha assicurato che le attività dei servizi sono sottoposte ad adeguati controlli. Intanto negli Stati Uniti ferve il dibattito, sia in Congresso che su quotidiani, Facebook e blog, sui rischi dello spionaggio di governo. La
Cbs si chiedeva anche cos’altro il governo stia nascondendo: ha fatto sapere che il Dipartimento di Stato ha coperto i casi di funzionari, membri della sicurezza e diplomatici accusati di «comportamenti illegali e inadeguati», alcuni a sfondo sessuale e di uso di droga. L’opinione pubblica Usa e gli intellettuali si chiedono quanta privacy vada sacrificata allo Stato per permettergli di proteggerci, e per Snowden è già un successo. Questo è l’obiettivo che si prefiggeva quando ha trafugato decine di pagine di documenti riservati della Nsa e le ha girate al
Guardian. Questo e il timore che la sorveglianza governativa si possa trasformare in monitoraggio e incriminazione di un singolo cittadino al minimo sospetto che rappresenti un pericolo. Ed è ciò che sta succedendo a lui.