Il timore è di un replay del 2000. Dodici anni fa, l’elezione del presidente americano finì al fotofinish, con un equilibrio tale fra i due candidati, Al Gore e George W. Bush, da convergere sul risultato dello spoglio di un singolo Stato: la Florida.Quest’anno lo scenario non è del tutto dissimile, ma il terreno di battaglia conclusivo potrebbe essere l’Ohio. Per aggiudicarsi i 270 grandi elettori necessari ad arrivare alla Casa Bianca, Mitt Romney deve intascare la maggioranza dei voti in Florida, North Carolina, Virginia e Ohio. A Barack Obama bastano il Wisconsin, un altro Stato in bilico (come l’Iowa) e, anche a lui, l’Ohio. E i sondaggi mostrano che lo Stato del Midwest rimane in bilico. Lo spazio di manovra di entrambi i candidati è infatti sempre più ridotto. A questo punto della gara, gli Stati davvero incerti sono rimasti cinque. Oltre all’Ohio, sono Colorado, Iowa, New Hampshire e Florida. La campagna del repubblicano aggiunge alla lista anche il Wisconsin, anche se i sondaggi lo mostrano più favorevole al presidente in carica e anche se lo Stato non sostiene in maggioranza un repubblicano dal 1984. Ai due contendenti non mancano i soldi per tappezzarli di volantini e saturarli di spot e telefonate.Quello che è sempre più stretto è il tempo. I due rivali lo stanno usando al secondo, dormendo in aereo per potersi presentare di prima mattina a colazione in un “diner” dell’Iowa, atterrare in Wisconsin in tempo per pranzare con un gruppo di operai e catapultarsi in Florida per un comizio e una cena esclusiva. I temi che il leader del partito dell’elefantino e quello dello schieramento dell’asinello presentano contano ormai meno della loro semplice presenza in ristoranti, piazze e mercati a stringere quante più mani possibile di qui al sei novembre. Anche se entrambi i candidati sperano sempre nel colpo di fortuna che possa spingerli in avanti quella manciata di punti percentuali che renderebbe il distacco incolmabile per il rivale. Potrebbe essere una gaffe dell’avversario, o una sorpresa sul suo passato non ancora emersa. Ieri, ad esempio, il campo di Obama non ha perso l’occasione di rinfacciare a Romney le frasi controverse sull’aborto pronunciate da un candidato repubblicano al Senato. «Il Presidente ha ascoltato le frasi di Richard Mourdock e le ritiene scandalosamente offensive e umilianti per le donne», hanno detto i portavoce di Obama commentando le dichiarazioni del candidato del Grand Old Party dell’Indiana, secondo il quale il concepimento dopo uno stupro è un «dono di Dio». Ma salvo improbabili sorprese dell’ultimo minuto, ancora più del vortice di toccate e fuga dei contendenti conta il loro “gioco sul terreno”, che vede migliaia di volontari sguinzagliati nelle città più determinanti. A loro, armati di tabulati che, grazie ad analisi microscopiche di comportamenti dei potenziali elettori, indicano con precisione l’identità degli elettori incerti, spetta fare le visite porta a porta che, secondo gli esperti di voto, possono muovere migliaia di voti fondamentali. E a loro spetta, a partire da questo fine settimana, setacciare i distretti elettorali per ricordare a tutti di andare a votare, e persino per portare ai seggi anziani, poveri e minoranze che storicamente sono meno propense a partecipare alla scelta del nuovo presidente.In questa componente della campagna è Obama ad avere messo in piedi la macchina più oliata ed efficiente, grazie all’esperienza del 2008 e ai legami tradizionali del partito democratico con organizzazioni di giovani e di neri motivati a far rieleggere il loro paladino. Intanto in molti distretti si sta già votando a distanza, e in molti di più i seggi saranno aperti a partire dall’inizio della prossima settimana, grazie a leggi che permettono di anticipare le operazioni di voto. Nonostante la corsa finale dei candidati, la partita potrebbe essere già quasi chiusa.