Il cerchio si chiude. Sono trascorsi quasi dieci anni da quel fatidico 11 settembre 2001, giorno che ha segnato i peggiori attentati terroristici sul suolo americano, all’eliminazione del loro mandante. Ora, a poco più di 24 ore dall’annuncio nella tarda serata di domenica dell’uccisione di Osama Benladen, il presidente americano Barack Obama ha deciso di recarsi a Ground Zero, la voragine lasciata aperta dalla distruzione delle torri gemelle per mano dei terroristi di al-Qaeda. La visita del capo della Casa Bianca, prevista per domani, è però ben diversa da quella delle migliaia di persone che negli ultimi due giorni hanno circondato la “fossa” in festeggiamenti per la morte del nemico pubblico numero uno, perché mirata a incontrare le famiglie delle vittime della tragedia del 9/11 nel luogo che è stato il maggiore testimone dell’odio di Benladen e della sua organizzazione. Sebbene due degli aerei dirottati dagli uomini di al-Qaeda fossero destinati a Washington, solo uno finì col colpire il Pentagono causando 184 vittime mentre l’altro si schiantò nei pressi di Shankville in Pennsylvania uccidendo tutti i passeggeri a bordo. L’attacco al World Trade center, invece, costò la vita ad oltre 2700 persone, tra cui almeno 400 soccorritori. Quando Obama salirà sul podio davanti a Ground Zero la scena sarà quindi ben diversa da quella che i giornali e le televisioni di tutto il mondo stanno mostrando; ci saranno certamente bandiere a stelle e strisce e, forse, qualcuno scandirà a gran voce “Usa” o l’inno nazionale americano, ma il tono di giubilo verrà messo da parte dalle espressioni di cordoglio. Il luogo delle stragi dell’11 settembre è certamente quello più significativo in cui il capo della Casa Bianca possa confermare, a chi ha perso i propri cari, che la promessa di giustizia è stata mantenuta, ma è anche quello in cui il ricordo di quei momenti terribili riporta in primo piano tutto il dolore sofferto. Sarà difficile, poi, non tornare con la memoria alla visita del predecessore di Obama alla “fossa” ancora fumante tre giorni dopo la tragedia; non rivederlo in cima a una montagna di detriti scandire da un megafono: «Vi sento. Il resto del mondo vi sente. E coloro che ha abbattuto questi edifici ci sentiranno presto». Allora il presidente George Bush aveva promesso una forte risposta agli attentati, annunciando la “guerra al terrore” contro Osama Benladen e al-Qaeda, ma anche enfatizzando la necessità che l’America si riunisse attorno alle famiglie delle vittime. Ci sono voluti dieci anni e una nuova amministrazione per mantenere la promessa di Bush. Sebbene i fronti aperti in Afghanistan e in Iran rimangono attivi e il terrorismo non è ancora stato sconfitto, un importante passo è stato compiuto. Come ha commentato lunedì sera Obama ai leader del Congresso durante una cena alla Casa Bianca, la notizia della morte di Osama Benladen, ha infatti suscitato tra gli americani «lo stesso sentimento di unità che ha prevalso dopo gli attentati dell’11 settembre». In un certo senso il difficile periodo iniziato quel fatidico giorno nel cuore finanziario di New York si conclude ora con l’eliminazione della testa del serpente. A Ground Zero, il cordone di agenti della sicurezza, di routine per una visita presidenziale, sarà decisamente più corposo. Un chiaro segnale che la minaccia terroristica non è svanita con la morte di Benladen.