Disimpegno parziale dal-l’Iraq in diciotto mesi, entro la fine dell’agosto del 2010; ritiro totale entro il 31 dicembre del 2011. Obama ha scelto Camp Lejeune, base dei marines in Nord Carolina, per delineare la sua via d’uscita dal-l’Iraq. Ricorda che tra pochi giorni cadrà il sesto anniversario dell’invasione dell’allora Paese di Saddam Hussein e che è tempo di porre fine a quel conflitto lacerante per l’America. Ma non vuole una fuga, piuttosto – come si legge nel titolo del comunicato – un «finale responsabile della guerra in Iraq». Il presidente dice ai soldati che l’Iraq «non è ancora sicuro e che ci saranno giorni difficili dinanzi ». Ma non è compito degli Usa controllare Baghdad. «Non possiamo pattugliare le strade irachene fino a quando saranno completamente sicure o rimanere fino a che l’Iraq sarà un posto perfetto». Giusto, rammenta il capo della Casa Bianca, che il fardello e l’onere di reggere il Paese spetti agli iracheni. Il passaggio però avverrà per gradi. Per questo quando il 31 agosto del 2010 oltre 100mila uomini saranno tornati nelle loro case negli Usa, ne resteranno fra i 35mila e i 50mila per addestrare l’esercito locale, garantire la stabilità e consigliare le forze di sicurezza irachene. Le prime ad andarsene saranno le brigate da combattimento. «Lo dico il più semplicemente che posso: entro il 31 agosto 2010 la nostra missione di guerra in Iraq sarà finita». Sedici mesi più tardi calerà il sipario sulla guerra voluta da Bush nel 2003. «Completeremo il trasferimento di responsabilità al governo iracheno e noi porteremo le nostre truppe a casa con l’onore che si sono conquistate sul campo: gli Stati Uniti – ha detto rivolto agli iracheni – non reclamano in nessun modo il vostro territorio e le vostre risorse. Rispettiamo la vostra sovranità ed i terribili sacrifici che avete fatto per il vostro Paese». Il presidente ha inserito il disimpegno militare in un quadro diplomatico più complesso. La seconda fase prevede un maggior ruolo per la diplomazia. A Christopher Hill, nominato ambasciatore a Baghdad, il compito di aiutare le autorità irachene a tratteggiare un futuro di pace e prosperità in un contesto di relazione con i Paesi vicini. Questo implica – ha detto Obama – «un impegno comprensivo dell’America ». Washington sosterrà un dialogo (Obama ha parlato di “engagement”) con «tutte le nazioni della regione che include l’Iran e la Siria». Prima di annunciare il suo piano Obama ha telefonato al premier iracheno Nouri al-Maliki e al suo predecessore alla Casa Bianca, George W. Bush. Obama ha detto di aver ascoltato le argomentazioni del capo del Pentagono Bob Gates e del consiglio di Sicurezza nazionale prima di dare semaforo verde al piano. La strategia è stata accolta positivamente dal repubblicano John McCain. Qualche mugugno invece negli ambienti vicini alla Difesa, scettici sull’indicazione di precise scadenze. Secondo quando appreso da Avvenire , ci sarebbe già una bozza di come sarà scaglionato il ritiro: massimo 25mila uomini nel 2009 se passerà la linea del generale Ray Odierno, 90mila nei primi 8 mesi del 2010. Quindi i restanti entro il dicembre 2011. Le fonti sottolineano fra l’altro che il passaggio più delicato del piano sta nel «totale ritiro del 2011 che modifica il Sofa (l’accordo di sicurezza firmato a fine 2008 da Bush ndr) da un’intesa quadro per una partnership strategica a lungo termine in una garanzia di ritiro».