mercoledì 11 dicembre 2013
A dare notizia dell’esecuzione di Jang Song-taek è stata la stampa cinese.
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Prima defenestrato. Poi esposto al pubblico ludibrio, con tanto di arresto davanti alle telecamere. E ora (forse) fucilato. La fine – non solo politica – di Jang Song-taek, decretata dal nipote Kim Jong-un, l’uomo che muove tutte le leve del potere nella Corea del Nord, apre scenari inquietanti. Per gli analisti siamo di fronte a una vera e propria voragine che rischia di risucchiare tutti gli attori regionali. A cominciare dalla (nemica) Corea del Sud e dalla (amica) Cina. La tempestività con la quale la presidente sudcoreana Park Geun-hye ha denunciato i “giochi” dell’ultimo Kim – «sta instaurando un regno del terrore» attraverso «un’epurazione su vasta scala» – segnala come il grado di preoccupazione nella penisola stia pericolosamente salendo.A dare la notizia della presunta uccisione, dopo l’arresto, dell’ormai ex tutore dell’ultimo Kim sono state fonti semi-ufficiali cinesi. Da parte loro, i media sudcoreani danno per certo l’esecuzione di due stretti collaboratori di Jang e parlano di una campagna di arresti su vasta scala. Secondo i servizi d’informazione di Seul, per ordine di Kim Jong-un, sono state fucilate 17 persone nel 2012 e 40 nel 2013. Ma è soprattutto la Cina a manifestare il proprio imbarazzo. Il portavoce del ministero degli Esteri Hong Lei ha fatto trapelare i timori di Pechino: «Speriamo che la Corea sia in grado di mantenere la stabilità nazionale». Mentre il Global Times, autorevole quotidiano della capitale, arriva ad auspicare una visita a Pechino da parte di Kim Jong-un, affermando che essa «sarebbe benefica per la stabilità a lungo termine della Corea del Nord e per i rapporti bilaterali». Il nervosismo cinese sta montando. Per diversi motivi. Primo: Jang Song-taek era considerato molto vicino a Pechino, l’uomo che in Corea spingeva perché il “regno” si aprisse a un’economia in salsa cinese. Non a caso l’eminenza grigia del regime, come da più parti veniva indicato, era stato ricevuto con tutti gli onori nel 2012 dall’allora presidente Hu Jintao. Era, insomma, l’uomo del collegamento tra Pechino e Pyongyang. Tranciato il “cavo”, la Corea del Nord sembra essere sempre più lontana dall’orbita cinese, sempre più refrattaria a seguirne i dettami.Secondo Roger Cavazos, analista del Nautilus Institute for Security and Sustainability, «la Cina è rimasta sconvolta dal fatto che il suo alleato prima di informarla delle sue azioni, ha preferito informare il mondo intero». La dirigenza cinese teme, poi, un nuovo esperimento nucleare nordcoreano (sarebbe il quarto), che metterebbe in seria difficoltà la sua politica volta ad ottenere una penisola coreana libera da armamenti atomici. Insomma, Pechino si aspetta nuovi colpi di testa del giovane Kim ormai affrancato dal suo “tutore”.
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