Se Daesh e Riad appaiono simili quanto al velo di segretezza che avvolge i processi, Il paragone però si ferma lì. Non essendo uno Stato, Daesh «non ha alcuna legittimazione a decidere di uccidere la gente», come ebbe a dire il portavoce del ministero saudita degli Interni. In pochi casi, questa «differenza» ha permesso di salvare qualche condannato, come il blogger Raif Badawi, condannato a mille frustate. In molti altri casi, le pressioni internazionali sono sembrate invece senza effetto. Secondo Amnesty International, oltre 50 persone sono a «elevato rischio di esecuzione imminente in Arabia Saudita». Tra queste, il giovane sciita Alì Mohammad al-Nimr (aveva 17 anni al momento dell’arresto), condannato alla decapitazione e alla crocifissione. Nonostante questo, ogni paragone tra il sistema giudiziario saudita e la presunta «giustizia » amministrata da banditi del Daesh è fuorviante. All’ombra del Califfato, infatti, abbiamo assistito a esecuzioni sommarie di civili e militari, allo sgozzamento di ostaggi locali e occidentali, allo sfollamento di intere comunità cristiane e all’abuso sessuale contro ragazze e madri di confessioni ritenute «eretiche». Il tutto “mediatizzato” con ogni mezzo di comunicazione grazie a una macchina propagandistica infernale che vomita ogni settimana, quasi a farne un vanto, decine di video e di foto del supplizio «amministrato in nome di Dio». Daesh si distingue anche per l’introduzione di nuove crudeli modalità di uccisione che nessun codice penale islamico, anche il più estremo, ha mai previsto: omosessuali gettati nel vuoto, condannati arsi vivi, annegati in gabbie, colpiti con il lanciarazzi e persino schiacciati da un carro armato.
Un cittadino saudita a giudizio per un tweet nel quale aveva paragonato il sistema di punizioni per i reati. ADULTERIO, FURTO E BLASFEMIA: GUARDA LA TABELLA DI PARAGONE
SECONDO NOI Sharia e pena di morte: Riad non trova la svolta umanitaria
SECONDO NOI Sharia e pena di morte: Riad non trova la svolta umanitaria
© Riproduzione riservata
ARGOMENTI: