Trentamila uomini, fra brigate combattenti, logistica e istruttori. Obama si ferma sotto la richiesta minima del generale Stanley McChrystal che voleva 40mila uomini. «Eppure – spiega ad
Avvenire John Pike, esperto di difesa e fondatore di “Global Security” – la vittoria nel conflitto non è per nulla legata a quanti uomini si schierano». È invece una questione di strategia. Il problema – argomenta Pike – sta piuttosto nel far capire al governo centrale di Kabul che deve provvedere esso stesso alla sicurezza. Impresa non facile. Perché già parlare di esercito nazionale – dice Pike – in un Paese diviso e sminuzzato in tribù dove tutti sono armati è complicato. Karzai poi si trova all’ultima spiaggia. Washington chiede risultati concreti nella lotta alla corruzione e al narcotraffico. Serve comunque un potenziamento della polizia e dell’esercito nazionale. I democratici al Congresso Usa vorrebbero vedere nella nuova strategia fondi e uomini per l’addestramento dei nuovi soldati. Ma secondo il Wall Street Journal, Obama ha declinato la richiesta di Mc-Chrystal: il generale avrebbe voluto l’espansione a 240mila e a 160mila dell’esercito e della polizia. Quasi il doppio quindi di quanto a disposizione attualmente. Obama non stanzia le risorse richieste per incrementare i numeri dei soldati e della polizia locale. Ma è una sorta di compromesso. La partita afghana per Obama si gioca prima di tutto al Campidoglio dove l’ala anti-guerra del suo partito non vuole sentire parlare di rinforzi. «La grande sfida per Obama – precisa Andrew Bacevich, stratega militare e professore della Boston University – è vendere agli americani la guerra». Malgrado il presidente abbia indicato in 3 anni la fine dell’impegno a Kabul, secondo Bacevich questo andrà ben oltre gli otto. Con effetti ovviamente «sui costi perché significa spendere miliardi di dollari». Non è un caso che agli ultimi consigli di guerra abbia partecipato Peter Orszag, direttore dell’ufficio bilancio della Casa Bianca. Un segnale che prima di dare luce verde a qualsiasi revisione strategica la Casa Bianca ha guardato i conti. Lo stop a 30mila uomini potrebbe anche essere stato determinato da ragioni di bilancio oltreché politiche: Obama rischia infatti di vedersi approvare gli ulteriori stanziamenti dalla minoranza repubblicana e non dai liberal del suo schieramento che rammentano al presidente che nell’agosto del 2007 e nel luglio del 2008 aveva detto che si sarebbe limitato a mandare due “combat brigade” (ovvero poco meno di 10mila uomini) in Afghanistan. Invece Obama in marzo ha autorizzato il dispiegamento di 21mila uomini e ieri ha annunciato il nuovo “surge”. Concetto che non convince granché tutti gli analisti. Per Bacevich «ci sono radicali differenze con quanto accadde in Iraq, i contesti sono diversi e parlare di “surge” serve solo a chi continua a sostenere la guerra». Carl Forsberg invece
dell’Institute for study of war dice che «in Iraq il “surge” fu un incremento di truppe per consentire una svolta tattica: i soldati potevano proteggere la popolazione con tattiche di controguerriglia. Ed è lo stesso cambiamento di paradigma che la Nato vorrebbe implementare in Afghanistan con il “surge” di Obama». Il nodo tuttavia è che la gran parte dei 30mila soldati sarà dispiegata nel Sud e nel Nord est e ciò rischia di lasciare scoperte altre zone già a rischio implosione come l’Est, e l’Ovest oltre che il Nord. «Anche per questo conclude – Forsberg – più che mai serve il supporto del Pakistan. Che combatte gli estremisti nella Provincia Nordoccidentale. Ma non nel Balucistan».