La centrale presidiata dai mezzi militari di Mosca - ANSA
Quella che si vede dalle sponde del fiume Dnipro a Enerhodar, nel distretto di Zaporizhzhia, è «una grande bomba a orologeria». Lo dice un ingegnere dell’impianto nucleare che ha deciso di correre più di un rischio per raccontare i giorni più pericolosi per almeno tre Continenti.
Nelle ultime settimane l’area è stata bersagliata da centinaia di colpi, fino a 120 razzi segnalati in una sola notte. Secondo fonti indipendenti giunte fino all’ultimo avamposto sotto il controllo ucraino (giornalisti e organizzazioni umanitarie) i lanci provengono proprio da Enerhodar. Kiev accusa Mosca di farsi scudo della centrale per lanciare attacchi. La Russia risponde sostenendo che le minacce arrivino proprio dai combattenti ucraini. Per l’Aiea, l’organo di controllo nucleare delle Nazioni Unite, c’è un «rischio reale di disastro nucleare» se non cessano i combattimenti e non viene consentito l’accesso agli ispettori. Anche perché, confermano diverse fonti, a questo punto non serve neanche che si spari per accelerare la corsa verso l’abisso delle radiazioni fuori controllo. È quello che ieri il presidente Zelensky ha definito «terrorismo nucleare russo» in un colloquio con il presidente francese Macron.
Zelensky accusa: «terrorismo nuclerare»
L’ingegnere di Zaporizhzhia lo ascoltiamo in tre, più volte e in più giorni. La comunicazione si interrompe spesso: per problemi di rete, o per non farsi scoprire. Alcune volte parla a voce, altre preferisce inviare documenti e immagini. L’ingegnere sa bene che dal momento della pubblicazione la sua vita e quella dei suoi familiari è in pericolo, ma così vicini al punto di non ritorno ha deciso di andare avanti. Quando cita l’impianto, lo fa come si trattasse di un luogo sacro. Usa la maiuscola, lo chiama semplicemente “la Centrale”. «La situazione era drammatica, ma a farla precipitare sono i bombardamenti mirati da parte degli occupanti russi», esordisce. Spiega: «All’inizio, a qualunque mente sana questa ipotesi sarebbe apparsa come un puro delirio suicida. Ma è successo questo: una specie di “auto-fuoco”». Il perché lo ha capito ascoltando dall’interno: «I russi sono rimasti impressionati dall’enorme risonanza mediatica dell’attacco ucraino alla zona della città di Energodar e alle vicinanze della Centrale, e si sono detti che avrebbero provveduto loro a mantenere alta quell’attenzione internazionale, e a imputare all’Ucraina le successive bombe contro le strutture dell’impianto».
Il rimprovero a Kiev e l’accusa ai russi
Se da una parte non nasconde che nell’area una reazione ucraina vi sia stata, dall’altra rivela come Mosca abbia deciso di cavalcare quegli scambi di colpi per terrorizzare il mondo e alzare la posta. «Parlare di errori, di bersagli mancati, è in questo caso ridicolo. Non è che i militari russi – insiste –, quando gli prende la voglia di sparare, si mettono a sparare alla cieca in tutte le direzioni, compresa la propria». E ricorda un episodio di aprile, quando gli fu chiaro che non sarebbe stata più l’Ucraina ad avere il controllo degli impianti. «Era venuta la delegazione di Rosatom, l’agenzia atomica russa, e aveva meticolosamente svolto tutti i compiti di cui era incaricata, dai rilievi topografici all’analisi dei rischi per le infrastrutture. Poiché a regolare il fuoco dell’esercito russo sono i rappresentanti di Rosatom», protetti dalle squadre dei servizi segreti russi.
Una delle immagini inviate dall’ingegnere della centrale per indicare gli impianti più a rischio - Avvenire
Il drammatico conto alla rovescia
All’inizio, la prendiamo per una rassicurazione. I tecnici di Mosca dovrebbero conoscere ogni conseguenza. Ma i calcoli devono fare i conti con la realtà. La presenza di Rosatom dimostra che la Russia potrebbe garantire un accesso sicuro agli ispettori Onu dell’Aiea. Eppure ancora ieri da Mosca è arrivato il consueto niet. «Attraversare la linea del fronte è un rischio enorme, dato che le forze armate ucraine sono formazioni armate eterogenee – ha sostenuto Igor Vishnevetsky, vicedirettore del dipartimento per la “Non proliferazione e il controllo degli armamenti” del ministero degli Esteri del Cremlino –. Potrebbe accadere di tutto se la delegazione dell’Aiea attraversasse la linea del fronte». In realtà, l’Ucraina ribadisce di avere tutto l’interesse a far arrivare gli ispettori che potranno constatare lo stato dell’occupazione nella centrale. Ma da Mosca prendono altro tempo.
La nostra fonte a Zaporizhzhia intanto continua a parlare e a scrivere da tecnico. Ci trasmette una mappa dell’impianto in tempo reale. Non possiamo pubblicarla: con facilità si risalirebbe al mittente. Si tratta di una planimetria dettagliata, nella quale l’ingegnere indica i punti chiave e la dislocazione delle forze di occupazione. Dice: «Punto primo: sparano per fare danni, ma non in modo fatale. Punto secondo: i loro colpi mirano principalmente a interrompere le linee di trasmissione ad alta tensione che collegano la Centrale con il sistema energetico dell’Ucraina. E molti sono già andati a segno. Perché è pericoloso? Nessuna centrale nucleare può funzionare “ad aria”, a salve, per così dire, ma deve essere alimentata con l’elettricità da qualche parte. Se perdiamo tutti i “consumatori” in una volta, andremo incontro a grossi problemi». I reattori, infatti, continuerebbero a produrre energia e non possono essere spenti con un semplice clic. È come spegnere di colpo i motori di un incrociatore procede avanti tutta: continuerà a spingersi al largo per inerzia. Ecco cosa accadrebbe: «Se non c’è un posto in cui convogliare l’elettricità, i blocchi verranno spenti in caso di emergenza. E se tutte le unità di alimentazione vengono spente in caso di emergenza, non c’è nessun posto da cui prendere l’elettricità per alimentare le pompe di raffreddamento della zona attiva (il cuore nucleare, ndr)». Per farlo capire anche a noi, l’ingegnere prova a semplificare: «In parole povere: almeno un’unità di potenza deve funzionare per dotare il sistema di alimentazione per le sue esigenze. Grazie a questo sistema energetico, possiamo evitare un incidente nucleare». Tuttavia, «se disconnetti tutte le “utenze” esterne in modo brusco (cosa che la Russia sta facendo ora), ci sarà un cosiddetto blackout (un arresto contemporaneo di tutte le unità elettriche funzionanti), che può portare a un disastro nucleare». I piani alternativi, in questo caso, sono destinati a non funzionare, perché servirebbe che tutto il personale fosse sul posto: «Attualmente alla Centrale ci sono tra le 1.400 e le 1.900 persone. Il numero di dipendenti regolamentare a tempo pieno è di 12mila».
Uno degli ingressi dell’impianto, prima della guerra - Collaboratori
«Noi in ostaggio di Mosca»
La vita all’interno è un incubo costante. Le esplosioni nei pressi dell’impianto vengono messe a segno ad orari regolari, così da organizzare i lavoro dei tecnici di conseguenza. «Di norma il personale del turno mattutino (7-15) esce più tardi del necessario, perché è alle 14 che iniziano i bombardamenti. La stessa storia – riferisce l’ingegnere – vale per il personale serale (15-23). Succede così che i lavoratori si espongono al pericolo semplicemente venendo o uscendo per il cambio di turno». «Tutti siamo in ostaggio delle situazioni più inaspettate, perché gli attacchi più accaniti dei russi vengono effettuati proprio durante la permanenza del maggior numero di personale. Tutto ciò ha fatto sì che un numero molto elevato di dipendenti ha lasciato Energodar nelle ultime settimane». Non c’è altro d’aggiungere, a parte un avvertimento: «Questo è il punto critico, perché una stazione povera di personale – osserva alla fine – è una grande bomba a orologeria».