Se i simboli fanno la storia, quella sedia vuota rimarrà conficcata a lungo come una lama nel “blasone” della Cina. La potenza che macina record – l’ultimo: ha scavalcato il Giappone come seconda potenza economica mondiale –, il gigante che lavora all’instaurazione di un nuovo ordine mondiale, che fortifica il suo esercito e si lancia nello spazio, che crea alleanze e pretende di avere sempre più spazio negli organismi internazionali, rischia di rimanere impigliato in quel vuoto: la sedia lasciata vuota dal premio Nobel per la Pace 2010 Liu Xiaobo. Le porte del carcere non si sono aperte per Liu, né quelle della sua abitazione nella quale è “imprigionata” la moglie Liu Xia, ai suoi amici è stato impedito di lasciare la Cina. Il 54enne critico ha affidato così alle parole – lette dall’attrice Liv Ullman – la sua “presenza” a Oslo, mentre il presidente della giuria del Nobel Thorbjoern Jagland poneva il diploma e la medaglia d’oro del premio sulla sedia vuota. «Non ho nemici e non covo odio», ha scritto “il criminale comune” (come lo ha bollato la giustizia cinese condannandolo a 11 anni di prigione per «incitamento alla sovversione contro lo Stato»), «nessuno dei poliziotti che mi sorveglia e dei magistrati che mi hanno condannato è mio nemico, l’odio può marcire grazie all’intelligenza e alla coscienza di una persona». «Nei decenni passati – si legge nella motivazione scritta dal Comitato norvegese per il Nobel –, la Cina ha raggiunto risultati economici difficilmente eguagliabili nella storia. Il Paese è oggi la seconda economia più grande del mondo; centinaia di milioni di persone sono state sottratte alla povertà. Anche le possibilità di partecipazione politica sono state ampliate. Il nuovo status della Cina deve comportare una maggiore responsabilità. C’è uno stretto legame tra pace e diritti umani». Il presidente Usa Barack Obama – Nobel per la Pace nel 2009 – ha definito Liu Xiaobo portatore di valori «universali». Il dissidente cinese «merita il Nobel più di quanto lo meritassi io, i valori che rappresenta sono universali, la sua battaglia è pacifica e va scarcerato al più presto».La reazione della Cina è stata rabbiosa. Dopo avere cercato di boicottare la cerimonia – alla fine sono 19 i Paesi che hanno disertato l’appuntamento rispondendo all’“appello” di Pechino – e aver lanciato strali, Pechino ieri ha alzato ancora i toni. La cerimonia di Oslo? Una «farsa politica». Il Nobel e la sedia vuota? Liquidati come «un teatrino». «I fatti – ha detto la portavoce del ministero degli Esteri di Pechino, Jiang Yu – dimostrano che la decisione del comitato di assegnazione del Nobel non può rappresentare la maggioranza delle persone al mondo nel loro complesso». Tornava a materializzarsi l’ombra del Dalai Lama, insignito del premio nel 1989? «Noi ci opponiamo risolutamente a qualunque Paese o a qualunque persona che si servano del premio Nobel per interferire nei nostri affari interni, o per violare la sovranità legale e giudiziaria della Cina». Il regime ha accuratamente cercato di “sterilizzare” l’eco mediatico della cerimonia di Oslo. Decine di poliziotti in borghese e in divisa hanno bloccato per tutta la giornata di ieri l’accesso al complesso residenziale nel quale da oltre due mesi è rinchiusa, completamente isolata dal mondo esterno, la moglie del dissidente, Liu Xia. Gli agenti hanno identificato i giornalisti presenti, alcune decine, bloccandoli davanti ai cancelli. L’edificio nel quale si trova l’appartamento della donna appariva buio e silenzioso. La censura ha stretto le maglie su Internet, sulla quale sono impossibili le ricerche di parole come «Nobel» e «sedia vuota». Le trasmissioni in diretta della cerimonia e i servizi delle principali reti tv straniere sono stati oscurati. Questo non ha impedito a centinaia di cittadini cinesi di inviare brevi messaggi di solidarietà a Liu Xiaobo, che sono stati diffusi sul sito del Comitato per il Nobel. Un centinaio di persone hanno brevemente manifestato in favore dei diritti umani davanti alla sede di Pechino dell’Onu, prima di essere allontanate dalla polizia. La sorveglianza è stata rafforzata anche su piazza Tienanmen, il luogo del massacro del 1989 che mise fine al movimento per la democrazia del quale Liu Xiaobo era stato uno dei protagonisti.