Lo scorso aprile, quando i ministri della squadra di José Luis Rodriguez Zapatero giurarono (o promisero) di fronte al re Juan Carlos, sul tavolo non c'era soltanto il testo della Costituzione. In un angolo c'era anche un crocifisso: un simbolo religioso, ma in quel contesto soprattutto un simbolo storico (visto che già la Carta del 1978 assicurò il carattere aconfessionale dello Stato spagnolo). Davanti alla croce nessuno gridò allo scandalo, né ricorse ai tribunali. Eppure " ciclicamente " il tema dei crocifissi (sì o no nei luoghi pubblici?) torna a surriscaldare un vecchio dibattito in Spagna. Questa volta è toccato a Valladolid (terra natale del premier Zapatero): una splendida cittadina della comunità autonoma di Castiglia e León, famosa per le grandi processioni della Settimana Santa e per l'immenso patrimonio artistico religioso. Il giudice Alejandro Valentin ha stabilito che dovranno essere rimossi tutti i crocifissi dalle aule e dagli spazi comuni della scuola pubblica Macias Picavea. Il magistrato ha accolto la richiesta che aveva presentato nel 2005 un'associazione di genitori, nonostante la posizione contraria del consiglio scolastico (che quelle croci non vorrebbe proprio toglierle dai muri dell'istituto). Secondo Valentin «la presenza di simboli dove ci sono minori in piena fase di formazione potrebbe provocare in loro la sensazione che lo Stato è più vicino» al cattolicesimo rispetto ad altre religioni. Afferrandosi a questa sentenza, ora il Partito socialista della Castiglia e León (che nella regione è all'opposizione) vorrebbe togliere i crocifissi da tutte le scuole pubbliche della comunità autonoma. Ma il presidente regionale Juan Vicente Herrera " che potrebbe presentare un ricorso contro la sentenza " ricorda proprio il giuramento dei ministri: «A nessuno è venuto in mente che la presenza del crocifisso potesse delegittimare il governo, che è democratico e laico nella Spagna del XXI secolo». Al di là delle polemiche politiche (alternative momentanee al dibattito sulla grave crisi economica in corso in Spagna), la vicenda solleva altri interrogativi. «Il crocifisso in una cultura come la nostra non ferisce nessuno: è solo amore e pace», ma il problema qui è anche «la libertà religiosa», avverte l'arcivescovo di Valladolid, Braulio Rodríguez Plaza ai microfoni della Radio Vaticana. «In base a questa sentenza qualunque segno religioso potrebbe essere tolto e cancellato». Per il cardinale Antonio Cañizares, arcivescovo di Toledo, non si tratta di un fatto isolato, ma di «cristofobia che, in definitiva, è odio di se stessi». In un contesto di laicismo ideologico, la famiglia e la Chiesa «sono ostacoli da abbattere per imporre un nuovo progetto di uomo e società», che «distrugge l'uomo». L'eliminazione di un simbolo profondamente radicato nella storia spagnola come il crocifisso " assicura il cardinale Carlos Amigo, arcivescovo di Siviglia " «non favorisce la convivenza»: «L'importante è educare i bambini di Valladolid a rispettare i simboli religiosi di qualsiasi credo». Una sentenza che rivela una «progressiva perdita di memoria rispetto a tradizioni e valori che hanno dato sostanza all'Europa», è invece il commento del Sir. La sentenza " scrive l'agenzia " riflette un «orientamento che serpeggia in Europa e che tende a relegare sempre più la religione nell'ambito del privato». Sembra che l'Europa abbia «paura di guardare in faccia alla dimensione religiosa e al suo radicarsi storicamente nelle pieghe dei popoli e degli Stati. È difficile pensare al crocifisso spagnolo come a una minaccia per l'educazione e lo Stato laico». Reazioni anche dal mondo politico italiano. Per Roberto Calderoli, ministro per la Semplificazione normativa «il crocifisso non è solo un simbolo religioso, ma è il simbolo di quei valori su cui abbiamo costruito la nostra storia e la nostra civiltà». Gli fa eco il leader dell'Udc, Pier Ferdinando Casini: «La laicità dello Stato è un principio troppo serio per essere ridicolizzato, come è avvenuto in Spagna. Il suo presupposto è garanzia della piena attuazione dei diritti di ciascuno e, tra questi, anche l'esposizione di simboli religiosi che, ben lungi da interferire sul libero sviluppo delle coscienze dei giovani, rappresenta l'identità e la storia di un popolo».