Dal Sahara continuano ad arrivare grida di disperazione che però non vengono ascoltate. Ieri erano quelle di circa 100 profughi originari di diverse parti dell’Africa e del Medio Oriente che da alcuni giorni sono dispersi nelle dune di sabbia della Libia orientale. Per ora, solo un sopravvissuto e cinque cadaveri sono stati ritrovati dai soccorritori. «Il primo allarme è giunto da un pastore che li aveva avvistati e si era preoccupato di avvertire le autorità libiche – ha confermato Badr Abdel-Atti, portavoce del governo egiziano – stiamo facendo di tutto per portare avanti le ricerche». Secondo Mohab Nasr, console egiziano a Bengasi, l’unico trovato ancora vivo è riuscito a riconoscere due dei cadaveri recuperati. «L’uomo faceva parte di un gruppo molto numeroso di persone di varie nazionalità: egiziana, sudanese, siriana – ha affermato Nasr al sito d’informazione
Ahram online –. Questi profughi si sono però divisi in gruppi più piccoli prima di perdersi nel deserto». Sebbene alcuni dei dispersi avranno tentato di proseguire, solitamente c’è una parte dei rifugiati che tenta di tornare sulla propria strada perché spaventata dalle imprevedibili difficoltà della traversata. Mentre gli elicotteri sorvolano le aree di Tobrouk e Ajdabiya in cerca di superstiti, i residenti di Agadez riflettono sugli enormi rischi che i loro confratelli continuano ad affrontare. «Il deserto non perdona», assicura Bachir Ousmane, viso scavato, occhi intensi, una delle guide turistiche di Agadez che a causa dell’insicurezza nella regione si ritrova da mesi senza lavoro. «Ho troppi amici che sono partiti e non sono mai più tornati», conclude. Chi riesce a superare la traversata, spesso archivia nei propri telefonini immagini drammatiche dei loro compagni di viaggio: scheletri abbandonati, giacche che coprono mucchi di ossa bruciati dal sole, crani che spuntano da sotto la sabbia indossando ancora un cappellino delle squadre di baseball americane. «Sai perché tutti questi cadaveri sono a testa in giù? – dice James Boateng, giovane robusto del Ghana, mentre un video sul suo cellulare mostra i corpi senza vita della gente con cui ha attraversato la Libia per una settimana –. Stavano pregando Allah prima di emettere il loro ultimo respiro». Il deserto non è sfidato unicamente da chi intende raggiungere l’Europa, ma anche da chi tenta di ritornare nel proprio Paese d’origine. Dopo la caduta di Muammar Gheddafi, decine di migliaia di rifugiati che hanno lavorato in Libia o sono stati bloccati dalle autorità mentre tentavano di attraversare il Mediterraneo, si sono sentiti costretti a dirigersi verso sud. «Agadez e dintorni stanno accogliendo migliaia di nigerini e altri africani che avevano lasciato la regione dieci, vent’anni fa», afferma Amadou Diallo, medico tuareg e residente di Agadez. «Molti di questi
retournees non hanno niente che li aspetta: non una casa, non un lavoro – spiega Diallo –, e finiscono per diventare trafficanti. O terroristi». Dopo gli attentati ad Agadez e Arlit del Movimento per l’unicità e la jihad in Africa occidentale (Mujao), le autorità nigerine stanno provando a reagire. Trafficanti e terroristi si sono foraggiati dell’arsenale di armamenti libici che per anni ha tenuto in piedi il regime del rais. Maliani, nigerini, sudanesi, ciadiani, nigeriani: sono diverse le nazionalità dei militanti islamici che si aggirano per la fascia del Sahel e sono in grado di colpire in tutto il territorio. Settimana scorsa, l’esercito francese, appoggiato dai militari maliani, ha ammesso di aver iniziato un’intensa operazione di sicurezza nel vasto nord del Mali per «prevenire una rinascita dei movimenti jihadisti». Un’offensiva massiccia a cui forse è riconducibile anche la liberazione, avvenuta ieri, dei quattro ostaggi francesi sequestrati nel 2010 in Niger. Tutti sono «in buona salute».