sabato 23 aprile 2016
Vittime, case rase al suolo, devastazione nella capitale Kathmandu: il terribile “lascito” della scossa di magnitudo 7.8 che ha colpito un anno fa il Paese asiatico. I morti furono 9mila, 900mila le abitazioni distrutte. (S. Vecchia)
Terremoto in Nepal: ancora 3 milioni di sfollati
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Un anno dopo, il Nepal è un Paese ancora ferito, sfigurato, che deve fare i conti con una devastazione ancora “aperta”. Quel maledetto 25 aprile 2015, funestato da una scossa di magnitudo 7.8, ha lasciato una scia di morte e distruzione senza precedenti. Oggi il Nepal si ritrova con quasi 900mila abitazioni distrutte o danneggiate. Con centinaia di scuole, cliniche, ospedali, edifici pubblici ancora inagibili. Con un “esercito” di 2,8 milioni di sfollati. E con la memoria viva di quasi 9.000 morti.

«Se c’è un cosa che la comunità internazionale ha imparato è la capacità dei nepalesi di ricostruire le proprie vite – dice Abhi Shrestha dell’organizzazione Rural Heritage di Kathmandu, che si occupa di turismo eco-compatibile –. Poste davanti a una situazione di necessità, di emergenza senza precedenti, le comunità locali hanno comunque dimostrato una grande capacità di reazione».Non sempre la forza d’animo può, però, controbilanciare dei limiti strutturali, drammaticamente messi a nudo dal terremoto. Finora i 4,4 miliardi di dollari promessi dai donatori internazionali sono rimasti quasi inutilizzati e l’inverno trascorso ha imposto gravi difficoltà, anche per il blocco della frontiera con l’India con il conseguente fermo di merci indispensabili, inclusi i medicinali. «La situazione attuale del Nepal è inaccettabile – conferma Avery Doninger, della Ong All Hands Volunteers attiva nel distretto di Sindhupalchowk, uno dei più colpiti dal sisma –. In quest’area, un anno dopo la gente vive ancora in strutture precarie e in edifici insalubri».

Il terremoto del 2015 ha aggravato fenomeni di arretratezza diffusa e precarietà dei servizi che spiegano una speranza di vita di soli 68 anni e spingono all’emigrazione una popolazione attiva di età media assai bassa, con rimesse che sfiorano il 30 per cento del Pil nazionale.Molto è stato fatto in dodici mesi ma gli sforzi sono stati spesso vanificati dalle strozzature burocratiche. «Nel febbraio 2016, l’Autorità nazionale per la ricostruzione ha chiesto di sospendere tutti i programmi edilizi per consentire un nuovo censimento degli edifici danneggiati – ricorda Lalita Gurung, della Croce Rossa di Hong Kong –. Solo all’inizio di aprile sono state approvate nuove linee-guida ma a oggi nessuna Ong ha ricevuto il testo».

«Il Paese stenta a ripartire – conferma Licia Masi, responsabile in Nepal della Ong palermitana Tulime –. Al punto che lo stesso primo ministro ha recentemente dichiarato che di questo passo ci vorranno decenni per la ricostruzione». Save the Children ha pronto da mesi un progetto che comprende la formazione di 6.000 muratori per ricostruire rispettando i criteri di sicurezza e la distribuzione di sovvenzioni in denaro a 6.000 famiglie in difficoltà, per un valore di 12 milioni di dollari. «Appena avremo il via libera, saremo pronti a partire», spiega Delailah Borja, direttore di Save the Children in Nepal. L’organizzazione ha finora raggiunto oltre 580mila persone, per metà bambini. Sono almeno 350mila i nepalesi coinvolti dalle iniziative di sostegno della Caritas, 280mila quelli soccorsi e supportati dopo la catastrofe grazie agli 1,4 milioni di euro donati dagli italiani trasformati in opere dalla rete Agire (ActionAid, Cesvi, Gvc, Intersos, Oxfam, Sos Villaggi dei Bambini, Terre des Hommes). Nell’immensità delle necessità, Agire ha puntato sulle donne. Scegliendo di renderle protagoniste della riabilitazione del Paese mobilitando, operatrici umanitarie e volontarie locali.

Prosegue il lavoro di Tulime a supporto della scuola pubblica nel villaggio agricolo di Chhaling presso l’antica capitale Bhaktapur e l’impegno nel distretto di Rasuwa dove, ricorda Licia Masi, «il nostro lavoro si è concentrato sulla ricostruzione di quattro scuole, con la volontà di farle diventare anche Centri per la comunità aperti alla formazione».Le difficoltà nei trasporti causate dall’embargo dell’India avevano di rallentato l’avvio del progetto “Acqua per i bambini del Nepal”, un impegno della Fondazione Pro.Sa, di ambito camilliano. Da qualche settimana, però, i bambini della Shree Krishna School e gli abitanti del villaggio di Thakani utilizzano acqua potabile e presto lo faranno quelli di Dhusenichaur, nello stesso distretto prossimo all’epicentro del terremoto.Solo uno spaccato della molteplicità di iniziative che, utili alla sua riabilitazione, rappresentano anche un’opportunità di sviluppo per il Paese himalayano, con una superficie che è la metà di quella italiana e 29 milioni di abitanti.

Tra le pieghe ampie della crisi post-sisma, resta però l’allarme per i rischi che la situazione di smarrimento sociale ha accentuato per i minori, già in decine di casi scomparsi e a volte recuperati, a rischio di abusi, preda di procacciatori per il mercato della prostituzione, delle braccia o degli organi. A sua volta, l’Unesco ha lanciato l’allarme per le condizioni della ricca eredità archeologica e artistica del Nepal, avvertendo che «affidare i lavori di restauro o ricostruzione al migliore offerente non è appropriato per siti considerati Patrimonio dell’umanità».
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