«Li riconosci a prima vista, gli sfollati dell’Est qui in città. Sono più tesi e spaventati dei residenti locali», riflette ad alta voce osservando i passanti, Ceva, un ragazzo fuggito da Kiev qui a Ivano-Frankivsk, nella parte occidentale del Paese. «È perché hanno provato quella vibrazione da panico nel corpo, quella per cui anche trovandoti in un rifugio sotterraneo continui a non sentirti al sicuro», cerca di completare il concetto Sasha, arrivata con lui e altri tredici amici dalla capitale. Li incontriamo fuori da un ingresso secondario del Teatro di arte drammatica della città, un imponente palazzo d’epoca sovietica, con un rifugio anti-aereo nei sotterranei.
Una porta anonima conduce dentro un corridoio stretto, poi una scala ancora più angusta fila giù dritta per tre rampe, fino a che non si spalanca un ambiente enorme, già affollato, perché le sirene hanno da qualche minuto lanciato l’allarme.
Dal budello delle scale proseguono a riversarsi nel rifugio uomini, donne e bambini, con zaini e coperte, thermos, computer, portantini con animali domestici. C’è chi arriva più lento, con il bastone, cercando di essere cauto a dove poggia i piedi. Niente panico, apprensione sì, ma la maggior parte dei presenti ha già alle spalle un mese di saliscendi, è abituato alle sirene e questa città non è certo Kharkiv, né Kiev, e all’allarme non segue quasi mai un bombardamento.
Con alcune eccezioni: le truppe russe hanno sferrato tre attacchi missilistici sull’aeroporto della città, a quattro chilometri dal centro, il primo giorno di guerra, il 24 febbraio, poi l’11 e il 13 marzo. Sabato scorso, è stata la volta del missile balistico ipersonico che ha distrutto un deposito di armi. Man mano arrivano, le famiglie, i gruppi di amici, gli anziani si sistemano dove c’è posto.
A volte l’allarme si protrae per un’ora e più. Nella giornata più movimentata, martedì, le sirene hanno risuonato cinque volte, per un totale di quasi sei ore. Cuffiette alle orecchie, un libro aperto sulle gambe, una donna con l’uncinetto, un’altra che allatta, poi i giochi dei bambini, l’angolo allestito con la tv e i cartoni animati della Marvel. A disposizione acqua e tè. Nella penombra, i visi sono illuminati dallo schermo degli smartphone. Si pazienta, l’allarme anche questa volta sarà a vuoto, però non si sa mai.
Il sindaco, Ruslan Martsinkiv, lunedì si è rivolto ai numerosi concittadini che ignorano le sirene. «I razzi non sono arrivati qui per diversi giorni, ma questo non significa che il nemico si sia dimenticato di Ivano-Frankivsk». C’è uno scarto evidente, come notava Ceva, tra l’atteggiamento rilassato degli abitanti della città e quello di chi viene da fuori. Non ignorano nemmeno una sirena i 250 sfollati dell’hotel Nadiya, accanto al teatro.
Il rifugio sotto il teatro di Ivano-Frankivsk - F.Ghirardelli
Una sistemazione di lusso rispetto ai materassi nelle palestre delle scuole di Ivano-Frankivsk (pur ben organizzate), dove vengono accolte migliaia di persone, trentaduemila in città, settantamila nella regione, contando solo chi si è registrato per gli aiuti. Ad ogni discesa al bunker incontriamo Iuliia, una ragazza della periferia di Kiev. Ci racconta una (amara) battuta che ha sentito fare qui nell’ovest: se quando scattano le sirene vedi qualcuno con il passo affrettato, stai sicuro che viene dall’est. Prima dell’avvio dell’operazione militare russa, proprio in questo vasto ambiente sotto il teatro, un progetto artistico ideato al direttore Rostyslav Derzhypilsky aveva portato all’allestimento dell’Amleto.
Il rifugio sotto il teatro di Ivano-Frankivsk - F.Ghirardelli
Per ospitare il pubblico erano state erette balconate di assi di legno, che sono rimaste lì. Per sfidare con la forza della cultura l’offensiva nemica, qualche giorno fa è stato messo in scena Romeo e Giulietta. Adesso, però, durante le lunghe ore di allarme anti-aereo, gli sfollati che si sistemano sulle balconate hanno di fronte agli occhi la scena di chi siede sotto, con gli stessi thermos, le coperte e gli zaini, nello spazio del palcoscenico. Assistono, seduti nel teatro dentro il bunker, a una storia che è la loro.