mercoledì 24 novembre 2010
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dal Kandhamal (India) «Adesso sono in Paradiso». Junos Nayak, l’ex poliziotto del martoriato distretto indiano di Kandhamal (nello Stato dell’Orissa) non ha avuto altre parole per esprimere la propria riconoscenza. Le ha pronunciate al risveglio, dopo l’intervento chirurgico a cui è stato sottoposto al Jubilee mission medical college hospital, il principale ospedale cattolico dello Stato meridionale di Kerala. È stato infatti solo grazie alle cure gratuite offerte dal centro medico guidato dall’arcidiocesi di Thrissur che il sessantaduenne Nayak ha potuto veder rimossi tre dei proiettili che aveva portato in corpo per due anni, dopo essere sopravvissuto agli attentati anticristiani portati a termine nella giungla dell’Orissa nel 2008. Gli attacchi ai cristiani, che hanno colpito il Kandhamal per settimane in seguito all’uccisione del religioso indù Swami Lakshmanananda Saraswati, il 23 agosto di due anni fa (di cui sono stati falsamente accusati i fedeli della Chiesa, mentre la responsabilità è probabilmente dei ribelli maoisti), hanno fatto almeno 93 vittime, lasciato 350 chiese e istituzioni cristiane profanate o burciate e oltre seimila abitazioni saccheggiate o distrutte, creando – secondo la Corte suprema federale – oltre 50mila rifugiati. È per narrare le proprie vicissitudini davanti al Tribunale nazionale del Popolo sul Kandhamal che Nayak, insieme a altre decine di vittime, è stato portato a New Delhi dove, tra il 22 e il 25 agosto scorsi – in occasione del secondo anniversario della violenza anti-cristiana pianificata – si sono organizzati tribunali pubblici presieduti da importanti giuristi e attivisti sociali, con lo scopo di attirare l’attenzione nazionale sull’ingiustizia e la continua sofferenza dei cristiani perseguitati. Era il 30 agosto 2008 quando il fratello maggiore di Nayak, Lalji, morì in seguito alle ferite riportate e sua cognata, Mandakini, perse la ragione a causa della frattura del cranio. Il poliziotto – in pensione dopo essere stato ferito in un attentato da parte di ribelli maoisti – riuscì miracolosamente a sopravvivere ai proiettili durante il tentativo di sfuggire ai fanatici. Ai genitori di Nayak, che avevano abbracciato il cristianesimo 70 anni prima, era stato dato un ultimatum di 30 giorni per rinnegare la propria fede se avessero voluto continuare a vivere nel villaggio di Gadaguda, nei pressi di Udaigiri, nel Kandhamal. In seguito alle minacce e alle pressioni perché abiurassero la fede cristiana, una cinquantina di famiglie scelsero di abbandonare il villaggio e di rifugiarsi nella giungla, mentre migliaia di cristiani venivano trascinati a forza nei templi per essere sottoposti a cerimonie di "riconversione". Non intimorita dalle minacce, la famiglia di Nayak insieme ad altre due decise invece di rimanere nel villaggio, rifiutando più volte di essere riconvertita. Il 29 agosto, alla vigilia della scadenza dell’ultimatum, decine di fanatici armati raggiunsero il villaggio e si accamparono per la notte, ma alle quattro del mattino, unitisi a fondamentalisti locali, circondarono la casa di Nayak e fecero irruzione, mentre la famiglia era raccolta in preghiera. Ai cristiani venne data un’altra possibilità di rinnegare la propria fede e recarsi al tempio ma, al loro rifiuto, gli estremisti indù misero brutalmente in atto ciò che da settimane stavano portando a termine in altri villaggi, attaccandoli senza pietà con armi da taglio. Laji e sua moglie persero conoscenza; Nayak cercò di fuggire, ma venne colpito dai proiettili. Verso le nove del mattino, funzionari di polizia raggiunsero il villaggio e trasportarono i feriti e i cadaveri – insieme a quelli dei paesi circostanti attaccati nelle stesse ore – all’ospedale di Udaigiri. Nayak, date le sue condizioni critiche, venne trasferito al centro medico universitario statale di Berhampur, a oltre 150 chilometri di distanza, dove però, giudicato spacciato, gli fu rifiutata l’ammissione. L’ospedale, nonostante le insistenze del figlio – che era riuscito a a scampare all’attacco dandosi alla fuga insieme alla moglie e alla sorella all’arrivo degli assalitori –, non era in grado di occuparsi di Nayak, perché già sommerso da cristiani feriti gravemente. Il suggerimento fu quello di rivolgersi a un altro centro medico, lontano 170 chilometri, da raggiungere, però, a proprie spese. Raccolti con l’aiuto di amici i fondi necessari a noleggiare un furgone, il poliziotto venne trasportato all’ospedale universitario di Cuttak, il maggiore dello Stato dell’Orissa, dove tuttavia la negligenza dei medici proseguì. Dopo essere stato ignorato per ore, a Nayak venne inserita una piastra d’acciaio per contenere il tessuto osseo distrutto dai proiettili – senza che questi venissero rimossi – e gli furono sommariamente ricuciti una gamba e un braccio. Dopo due settimane fu dimesso con la prescrizione di sottoporsi, a spese proprie, alla fisioterapia, con la rassicurazione che i proiettili avrebbero potuto essere estratti in un secondo tempo, al costo di cento mila rupie (pari a circa 2.000 euro). Prospettiva impensabile per l’indigente Nayak – rimasto senza tetto e costantemente minacciato affinché rinnegasse la propria fede e ritirasse la denuncia fatta alla polizia per l’attentato contro di sé e la famiglia del fratello ucciso, quali precondizioni per tornare al suo villaggio d’origine. L’ex poliziotto non ebbe quindi alternativa che vivere alla periferia di Kandhamal, soffrendo per le ferite riportate. Nemmeno l’ospedale cristiano – dove Nayak si è sottoposto alla rimozione di tre proiettili nella gamba e all’intervento alla cataratta dell’occhio sinistro – è però intervenuto sulla mano destra, limitando le cure a un ciclo di fisioterapia. Secondo il chirurgo ortopedico Manesh Chacko, che ha operato gratuitamente l’ex poliziotto, «è un miracolo» che non si sia sviluppata alcuna infezione nonostante la disintegrazione del tessuto osseo e la presenza di così tanti frammenti di proiettile. Il fatto poi che la mano, medicata con oltre 100 punti di sutura, abbia conservato le proprie funzioni motorie «è incredibile secondo i parametri medici». Rimuovere la piastra d’acciaio e le schegge metalliche richiederebbe però un intervento molto difficile, i cui rischi non verrebbero compensati dai risultati. Anche nel caso di successo, poi, Nayak sarebbe costretto a tornare presto nella remota area del suo villaggio, dove manca la possibilità di accedere alle cure necessarie in caso di complicazioni. L’ex poliziotto è comunque estasiato, sia per le cure ricevute sia per la sua visita nel cuore della cristianità. Fu infatti a Kerbala che nel 52 d.C. san Tommaso apostolo, arrivando sulle coste del Mar Arabico, cominciò a diffondere il cristianesimo in India. «Cristo mi ha tenuto in vita per essergli testimone», ha spiegato Nayak, dicendo che tutte le sue sofferenze sono state compensate dall’attenzione ricevuta e dichiarando di voler «passare il resto della propria vita a predicare la fede in Cristo».
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