Sarà un Natale all’insegna dell’ottimismo e della speranza quello dei cattolici di Turchia. Una luce che deriva soprattutto dalle celebrazioni dell’Anno Paolino, che hanno restituito alle comunità cattoliche che vivono nel Paese una nuova serenità e fiducia verso il futuro. A lanciare un messaggio positivo è monsignor Luigi Padovese, Vicario Apostolico dell’Anatolia, che spiega ad Avvenire come i cattolici di Turchia hanno accolto e stanno vivendo questo Anno Paolino, che terminerà nel giugno 2009. La presenza eccezionale di fedeli, destinata ad aumentare da marzo 2009 con l’introduzione di nuovi voli verso l’est della Turchia, le tante manifestazioni organizzate, l’appoggio del governo turco e la presenza di autorità della Mezzaluna nei momenti più importanti, fanno ben sperare per il miglioramento delle condizioni dei cristiani anche quando l’anno dedicato a San Paolo sarà concluso. Rimangono alcune perplessità, come la decisione del governo turco di riconoscere per la prima volta come festività nelle scuola della Mezzaluna il Natale per gli ortodossi e lo Yom Kippur per gli ebrei. Un provvedimento che rappresenta un passo in avanti per la tutela delle minoranze religiose presenti in Turchia, ma incompleto, perché la sua attuazione non riguarda i cattolici, a cui manca ancora un riconoscimento giuridico da parte delle autorità di Ankara. « Durante questo Anno Paolino – spiega Padovese – abbiamo innescato un dinamismo favorevole, che ci lascia ben sperare anche per il futuro. La speranza c’è e noi dobbiamo continuare ad alimentarla'. Segni importanti in questo Natale, in una parte della Turchia, Iskederun, sede del Vicariato apostolico dell’Anatolia, che profuma di Medio Oriente. Quest’anno il Gran Muftì di Turchia (massima autorità religiosa del Paese ndr), Ali Bardakoglu, ha inviato una lettera di Natale a Monsignor Padovese densa di significato e i colloqui con il governo turco per la concessione di una sede di culto permanente proseguono in modo positivo. La chiesa- museo di Tarso Anche a Tarso, uno dei luoghichiave delle celebrazioni paoline, che si trova a pochi chilometri di distanza dal confine siriano, nonostante la mancanza di una chiesa aperta in modo stabile, ci si prepara con serenità alla celebrazione di questo Natale. «È un po’ triste festeggiare in un luogo dove non c’è una chiesa e dove ci sono pochi cristiani – spiega suor Maria Di Meglio – . A Mersin per esempio è diverso, perché lì c’è una chiesa dove il 25 dicembre riescono persino a organizzare un piccolo concerto. Ma questo anno dedicato a San Paolo ha portato un avvicinamento e un coinvolgimento delle autorità turche, che hanno partecipato alle celebrazioni del 21 giugno scorso, quando l’Anno Paolino si è aperto ufficialmente, e hanno fatto anche stampare molti libretti sulla vita del Santo. C’è stato un boom di visite alla chiesa-museo di Tarso (che viene aperta al culto solo in caso di visite da parte di gruppi, ndr), anche tante gite scolastiche. Molti musulmani sono rimasti affascinati dalla figura di Paolo. Abbiamo un ottimo rapporto anche con la polizia, sempre molto protettiva nei confronti di noi suore». Immagini serene e positive, alle quali però bisogna affiancare situazioni che presentano, per dirla con le parole di Padovese, «problemi di carattere locale». A Samsun, nonostante la presenza di una chiesa non ci sono cristiani che la frequentano, e quindi Don Giuliano Lonati festeggerà «in grande semplicità» a Trebisonda, dove Don Andrea Santoro quasi tre anni fa pagò la sua testimonianza con la vita, e dove non si riunirà più di una ventina di fedeli, inclusi quelli ortodossi e armeni. Ad Adana e a Van le situazioni più critiche, dove, dietro la prudenza, a tratti si cela la paura. Una sfida da raccogliere Ma il messaggio, in quest’Anno Paolino, è guardare avanti, ai progressi fatti e agli obiettivi da realizzare in futuro, e riscoprire il senso del Natale in un Paese a netta maggioranza musulmana. È questa la ricetta di Fra’ Claudio, che esercita la sua missione pastorale nella moderna e cosmopolita Istanbul. «Quello turco è un Natale strano: spesso la gente, dopo aver assistito alla Messa, va al lavoro. Ma questa è una sfida per ritrovare lo spirito più autentico di questa festa, e per riviverlo ogni giorno nelle circostanze ordinarie. Proprio come è accaduto alle origini del cristianesimo».