sabato 28 settembre 2024
In oltre un trentennio al vertice, Hassan Nasrallah ha plasmato, nella buona e soprattutto cattiva sorte, il movimento sciita. Lasciando la sua impronta su un’intera generazione
Il leader di Hezbollah ucciso, Sayyed Hassan Nasrallah

Il leader di Hezbollah ucciso, Sayyed Hassan Nasrallah - Reuters

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La scomparsa del leader di Hezbollah avrà gravi conseguenze sull'evoluzione del conflitto con Israele, come pure sulla situazione interna libanese. In trentadue anni al vertice del Partito di Dio, Nasrallah ha accompagnato, nelle buone e cattive sorti, il movimento sciita, lasciando l’impronta su un'intera generazione di militanti. Infatti, quando Nasrallah ha assunto nel 1992 il posto di segretario generale, la parte meridionale del Libano era ancora sottoposta all'occupazione militare – diretta o indiretta attraverso una milizia alleata – di Israele. L'improvviso ritiro israeliano nel maggio 2000 prima e la cosiddetta «vittoria divina» dopo il confronto militare dell'estate del 2006 durato 33 giorni poi, hanno contribuito a conferire all'uomo un carisma che mancava – e manca tuttora – agli altri politici libanesi.

Per gli sciiti, la stima del “seyyed” (il titolo riservato ai discendenti del profeta, ndr), come lo chiamano partigiani e non, raggiungeva livelli alti. Agli affollatissimi raduni politici e religiosi del partito cui partecipava da remoto per motivi di sicurezza, lo slogan più gridato dai simpatizzanti è sempre stato «Labbayka ya Nasrullah!» (Eccoci a te, siamo ai tuoi ordini!). Pur non avendolo visto in pubblico da tredici anni, i suoi seguaci faranno fatica ad accettare la scomparsa di Nasrallah. Di sicuro, il suo nome si aggiungerà all'elenco – ormai lungo - dei grandi “martiri” (come li chiama il movimento) commemorati ogni anno da Hezbollah. Uno di loro è proprio il predecessore di Nasrallah a capo della formazione sciita, lo sceicco Abbas al-Mussawi, rimasto in carica per soli nove mesi. È stato, infatti, ucciso da elicotteri israeliani il 16 febbraio 1992, poco dopo aver pronunciato un discorso alla commemorazione di un altro leader ucciso, lo sceicco Ragheb Harb, come lui tra i fondatori di Hezbollah. Con lui sono rimasti uccisi anche la moglie, il figlio e quattro altre persone. Harb è stato invece “eliminato” da agenti filo-israeliani il 16 febbraio 1984. Dalla sua residenza a Jibshit, nel Sud del Libano, guidava la guerriglia contro l'«occupazione israeliana».

Unirsi alla lista dei “martiri”, per Nasrallah, era sicuramente tra le “massime aspirazioni”. Agghiaccianti i toni alle commemorazioni funebri: le parole di condoglianze diventavano per lui «congratulazioni per questo bell'epilogo, perché noi adepti della scuola di Hussein (imam e martire sciita, ndr) siamo appassionati del martirio, e non vediamo in esso altro che il bello». Il luogo dell'attentato nella Dahieh sarà perciò associato da molti – idealmente ma anche etimologicamente – a un Adha, sacrificio.

Quando a Beirut si cita la Dahieh (“periferia” in libanese, ndr) tutti colgono che si sta parlando di quella meridionale, pur sapendo che la capitale è circondata da altri sobborghi. L'area è ormai associata sui mass media a una roccaforte di Hezbollah. Un milione di abitanti costituiti per metà da sciiti originari del Sud, giunti qui negli anni Sessanta o per sfuggire ai bombardamenti israeliani o per cercare nuove opportunità di lavoro. Quartieri cresciuti un po' alla rinfusa: Shiah, Haret Hreik, Ghobeiri, Bir el-Abed, Hayy el-Sullom, Lailaki, Ouzai, Mraije, Tahwita, Kafaat, che sembrano fondersi con gli adiacenti campi palestinesi di Burj al-Barajneh e Shatila. Tutto qui ricorda la retorica della «resistenza»: dai grandi ritratti alla stessa odonomastica, come la via dedicata alla memoria di Hadi, il primogenito di Hassan Nasrallah, ucciso nel 1997 dagli israeliani nel corso di un raid nel Sud, allora sotto occupazione. La salma di Hadi è stata consegnata dieci mesi più tardi nel quadro di uno scambio di salme e prigionieri con Israele. Molti ricordano come Nasrallah, citando i 40 corpi senza vita recuperati, ha evocato il nome di suo figlio per ultimo saltando il patronimico.

L'eliminazione dei capi militari di Hezbollah all'interno della Dahieh ha inoltre scosso le basi del partito: prima Fuad Shukur (30 luglio), poi Ibrahim Akil (20 settembre), poi ancora Ibrahim Kubaisi e Mohammad Srur (martedì e giovedì) e ora lo stesso Nasrallah. Senza scordare che qui era stato ucciso, il 2 gennaio, anche Saleh al-Aruri, il numero due di Hamas. Una tremenda successione di “attentati mirati” che si collegano a molti altri in passato. Uno di questi è l'attentato all'autobomba che ha ucciso il 21 dicembre 1994 Fuad Mughnieh. Si racconta che gli israeliani volessero uccidere al suo funerale il fratello Imad, capo dell'apparato clandestino di Hezbollah, ma questi non si è presentato.

Imad verrà ucciso dal Mossad a Damasco molti anni dopo, nel febbraio del 2008. Tra l'agosto 2003 e il luglio 2004 altre due autobomba nelle vie di Dahieh hanno successivamente preso di mira altri due comandanti, Ali Hussein Saleh e Ghaleb Awali. In alcuni casi gli agenti locali dei servizi israeliani sono stati arrestati e condannati a morte in Libano. In altri no. Come nel meticoloso attentato del dicembre 2013 contro Hassane al-Lakkis, “l'ingegnere dei droni” di Hezbollah, al cui assassinio avrebbero partecipato, secondo Tel Aviv, ben 12 agenti del Mossad.

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