«La tecnologia attuale lo consente. I droni di più bassa qualità portano circa un chilo di materiale e possono percorrere fino a 15 chilometri. Una distanza più che sufficiente per attraversare la frontiera». Parola di Aldo Flores, fondatore e direttore della società Investigación, Proyectos de Aeronáutica y Tecnología (Iprotec) di Città del Messico e noto esperto di sicurezza. Il “materiale” contenuto negli aerei senza pilota può essere di qualunque tipo: macchine fotografiche, rilevatori, microfoni. O droga. Il trasporto di cocaina – ma anche marijuana o metanfetamine – a bordo di velivoli a controllo remoto è tutt’altro che un’ipotesi fantascientifica. Non solo è possibile dal punto di vista tecnico. I potenti cartelli messicani l’hanno ormai ampiamente rodata: le prime spedizioni “high tech” verso gli Stati Uniti sono iniziate nel 2011. A rivelarlo è la Drug Enforcement Administration (Dea), l’agenzia anti-droga Usa. Negli ultimi due anni e mezzo, l’istituzione ha registrato 150 voli di dronicorrieri. In media, almeno uno alla settimana. Gli apparecchi – in base alle stime a partire dalle quantità sequestrate – avrebbero introdotto in territorio statunitense due tonnellate di stupefacenti. Ovvero, facendo un rapido calcolo, circa 1,3 chili per ogni carico. «Una quantità perfettamente sopportabile per un drone di media qualità, un tipo ormai ampiamente disponibile nel mercato messicano», aggiunge Flores. Dal 2007 si è registrato un notevole incremento nella fabbricazione e commercializzazione di aerei senza pilota (Vant, dicono gli esperti) nel Paese. Perché la richiesta è forte. E non solo in ambito militare e per funzioni di difesa, a causa dell’ondata di violenza. A crescere è stata anche la domanda di droni per usi civili. Che sono i più svariati: dal controllo delle coltivazioni alla meteorologia all’oceanografia fino all’industria cinematografica. Alle tre grandi case produttrici, Hydra Technologies, Aerovantech e Uav Aerospace México, si è aggiunta una miriade di imprese che importa i componenti dall’estero e li assembla in loco. Così lavora, ad esempio, 3D Robotcs, specializzata nei droni low-cost: il quartier generale, situato a Tijuana, ne ha venduti 30mila in quattro anni, per giro di affari di 10 milioni di dollari. Lo stesso fa HeliBoss, secondo cui il Paese è il maggior mercato latinoamericano. L’azienda dice di aver visto moltiplicare di sette volte la richiesta. E la domanda spinge altre imprese ad entrare nel settore e a creare nuovi tipi di velivoli a controllo remoto. Dai quasi “giocattoli” da 300 dollari fino ai mezzi più sofisticati che volano per 300 chilometri con un carico di 20 chili. Un simile “fermento creativo” ha contagiato anche l’industria criminale. Quest’ultima, come ogni impresa legale, cerca di massimizzare i guadagni e diminuire le spese. I droni rispondono a entrambe le esigenze. Gli aerei senza pilota costano meno dei sottomarini e dei maxi tunnel scavati sotto il confine, due metodi di trasporto “classico” per la droga. Consentono, inoltre, di “ridurre le perdite umane”: in caso l’apparecchio venga intercettato il carico è compromesso ma almeno non viene arrestato il pilota, che oltretutto è in grado di rivelare i nomi di altri trafficanti. Sono, infine, più affidabili dei corrieri umani, soprattutto dei cosiddetti “muli”, coloro che ingoiano gli ovuli di cocaina e che vengono facilmente intercettati. O, peggio, muoiono nella traversata a causa della rottura di un ovulo. Fino al dicembre 2013, i narcos si limitavano a importare velivoli a controllo remoto confezionati all’estero, in particolare in Israele. Per lo stesso principio di minimizzazione dei costi, però, ora, hanno cambiato strategia. Da gennaio, sono stati “catturati” narco- droni “made in Messico”. Il che vuol dire che i criminali li producono in loco. O meglio che contrattano chi lo faccia per loro. Il bacino di reclutamento è quel migliaio di esperti altamente qualificati impiegati nel settore legale. I trafficanti offrono loro dieci volte il salario medio, sostiene la Dea. E alcuni evidentemente si lasciano allettare. Le fabbriche clandestine si mimetizzano fra quelle regolari. Secondo l’agenzia antidroga, i poli di produzione di droni- corriere sono situati nella capitale, nel Nuevo León, a Guadalajara e nel Queretaro. Tutte zone ad alta densità industriale. Soprattutto l’ultima, dove si trova la “Silicon Valley aereonautica” del Messico, con un parco di oltre sessanta imprese del settore. «Certo anche i droni possono essere scoperti dai radar e catturati – conclude Flores –. Per questo, i narcos preferiscono il cosiddetto “trasporto-formica”: una raffica di piccoli velivoli con un carico di uno o due chili. In modo che, per uno che si “perde” gli altri passano. Dove? Beh la frontiera è lunga oltre 3mila chilometri, in buona parte deserto. È impossibile controllarla tutta. I buchi neri
sono tanti».