giovedì 1 febbraio 2024
Altri sei mesi di leggi speciali porteranno all’ennesimo rinvio delle elezioni. Mentre nel nord le milizie avanzano e i generali vedono tremare il loro trono, insanguinato da più di 1.500 morti
Il generale Min Aung Hlaing alla parata annualedella Indipendenza: è alla guida della giunta golpista dal primo febbraio 2021

Il generale Min Aung Hlaing alla parata annualedella Indipendenza: è alla guida della giunta golpista dal primo febbraio 2021 - Reuters

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Il terzo anniversario, oggi, del colpo di stato vede una girandola di eventi che segnalano l’avvio di un nuovo anno di sofferente e violenze piuttosto che un’apertura alla speranza per i 54 milioni di abitanti del Myanmar ostaggio di una guerra civile che si va estendendo e incrudelendo. Il summit del 29 gennaio dei ministri degli Esteri dell’Asean (associazione di cui il Myanmar fa parte) ha indicato come la soluzione alla crisi debba venire dall’interno. Una posizione che se sembra ricalcare la tradizionale non ingerenza nella questioni interne di Stati membri, riconosce non la legittimità del regime ma la presenza di più parti e la necessità del dialogo che metta fine al conflitto. Di ieri la decisione della giunta militare di prorogare di sei mesi la legge d’emergenza che implica con ogni probabilità di posticipare al 2025 eventuali elezioni.

D’altra parte, se le forze coalizzate di milizie etniche, gruppi di resistenza birmani e governo di unità nazionale in clandestinità sono all’offensiva, i segnali di cedimento dei militari non mancano. Non solo sui teatri di guerra nelle aree confinarie orientale e occidentale dove più si concentrano i combattimenti e dove hanno perso decine di avamposti, centinaia di uomini, ma anche tra i loro ranghi. Sarebbero otto finora i generali condannati a morte o all’ergastolo per incapacità o tradimento e migliaia i disertori. Negli ultimi dodici mesi in cui la giunta guidata dal generale Min Aung Hlain ha cercato di domare una opposizione che si è trasformata in ribellione armata, «davanti a una sconfitta dopo l’altra i militari (che hanno perso il controllo diretto del 60 per cento del territorio) hanno reagito lanciando ondate di bombardamenti indiscriminati con aerei e artiglieria», mentre «duri scontri tra esercito e gruppi dell’opposizione armata hanno portato a esodo di massa e vittime civili», ha segnalato martedì l’Alto Commissario per i Diritti umani delle Nazioni Unite, Volker Türk. Così, «la crisi dei diritti umani già in deterioramento in Myanmar si è trasformata in una caduta libera, nell’insufficiente attenzione del mondo verso la miseria e il dolore del suo popolo».

Quasi 20mila dei 26mila arrestati finora per motivazioni politiche sono ancora privati della libertà e spesso sottoposti a tortura e abusi senza un processo. Tra essi quasi tutta la leadership democratica, inclusa la sua esponente più rappresentativa, la Premio Nobel per la Pace Aung San Suu Kyi. Con i combattimenti, si sono diffuse anche le sofferenze. Sarebbero 1.576 i morti nel triennio sotto la custodia del regime, oltre 6.000 i morti dal golpe secondo il Peace Research Institute di Oslo con altre fonti che arrivano a 45mila vittime del conflitto, tra cui 13mila bambini, mentre da ottobre l’offensiva delle milizie etniche ha aggiunto almeno 300mila profughi agli oltre due milioni già presenti.

Una situazione che evidenzia l’intento punitivo dei generali nei confronti dei civili che, senza protezione, sono vittime di azioni indiscriminate che hanno colpito centri abitati e obiettivi tutelati dalle legge umanitaria internazionale, soprattutto strutture mediche e scuole. Da qui la chiamata alla comunità internazionale, finora disattenta o inefficace nel tentare una mediazione, a un impegno serio che porti, come già ordinato dalla Corte internazionale di Giustizia per il Myanmar, alla condanna dei militari, alla protezione della minoranza Rohingya già oggetto di espulsione di massa, a liberare i prigionieri politici e a restituire il potere ai civili. «Fra le tante crisi nel mondo – ha ricordato l’Alto Commissario Onu Türk – è importante che nessuna sia dimenticata. Il popolo del Myanmar ha sofferto tanto a lungo e dalla fine di ottobre dello scorso anno la situazione si è ulteriormente deteriorata».

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