domenica 9 marzo 2014
​Guerra di parole con gli Usa. Mano pesante in Crimea
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Lavrov – ministro degli Esteri russo – dice che Mosca è pronta a un dialogo «aperto, onesto ed equo» sulla crisi ucraina. Putin – presi­dente russo – spedisce i militari in Crimea ad as­saltare le postazioni di vigilanza ucraine, tiene al­la larga (a colpi di arma da fuoco) gli osservatori in­ternazionali dell’Osce e, soprattutto, minaccia di so­spendere le ispezioni dell’arsenale strategico rus­so, siti nucleari compresi, se Usa e Nato continue­ranno a interferire sulla crisi in atto. Mosca mescola le carte insiste a giocare a modo suo la partita ucraina, facendosi beffe delle «misure» annunciate dalla comunità internazionale e te­nendo ben inquadrato l’obiettivo finale: la “ricon­quista” della Crimea come trofeo da esibire per co­prire il parziale falli­mento a Kiev dove, complice una leader­ship corrotta e arren­devole – quella dell’ex presidente Viktor Ja­nukovich, fuggito dal Paese quando le cose si stavo facendo diffi­cili –, la “Rivoluzione del Maidan” ha porta­to ai posti di potere un governo filo-europei­sta decisamente ostile (ma sufficientemente fragile, vista la disa­strosa situazione eco­nomica del Paese, da non impensierire trop­po il Cremlino). Putin si muove da una posi­zione di forza. L’isola­mento della Russia tanto minacciato da Stati Uni­ti ed Unione Europea è un’arma spuntata: troppi gli interessi in campo. Il presidente lo sa e per que­sto sul fronte diplomatico procede senza troppa cautela, rispolverando toni da Guerra fredda che nascondono solo una strategia lenta e attendista. A questa logica sembra rispondere la minaccia, ar­rivata ieri, di sospendere le ispezioni all’arsenale strategico. Ispezioni previste dal trattato sulla ri­duzione delle armi nucleari “Start III” firmato da Usa e Russia. «Siamo disposti a fare questo passo in risposta alle dichiarazioni del Pentagono sulla so­spensione della collaborazione tra i ministeri del­la Difesa di Russa e Usa», ha dichiarato un alto fun­zionario del governo. Parole pesanti, ma solo pa­role. Peraltro subito alleggerite dall’intervento mor­bido di Lavrov sul «dialogo». È sul campo che Putin punta a mantenere una pres­sione forte e salda. E il campo è quello della Crimea. Sinora, nella Repubblica autonoma, i soldati russi non hanno dovuto sparare un colpo, e probabil­mente le cose così resteranno fino al referendum di domenica prossima, quando la popolazione, a maggioranza filo-russa, voterà presumibilmente il distacco da Kiev. Ma nel frattempo la mano di Mo­sca deve farsi sentire. Ieri, una cinquantina di mez­zi militari, senza insegne distinguibili ma eviden­temente russi, si sono diretti indisturbati verso il centro di Sinferopoli, la capitale della Repubblica. Mentre truppe di assalto russe – secondo quanto denunciato da Kiev – hanno aggredito, in piena notte, in casa loro, le guardie di frontiera ucraine, mettendole in fuga. E hanno poi sparato, in gior­nata, contro un ricognitore di Kiev. Gli osservatori dell’Osce in Crimea non sono ancora riusciti a met­terci piede. Kiev insiste perché entrino a monito­rare la situazione. Mosca sbarra la strada: ieri, per la terza volta, il con­voglio della missione è stato costretto a tornare in­dietro dopo alcuni spari di avvertimento. La di­plomazia cerca soluzioni. Il presidente Usa Obama ha avuto colloqui con il cancelliere tedesco Merkel, il premier italiano Renzi, il presidente francese Hol­lande e il premier britannico Cameron. Merkel ha annunciato che non andrà al G8 di giugno se il re­ferendum in Crimea si terrà davvero. L’impressio­ne è però che la Repubblica sia data per “persa”. E la domanda è se Putin si “accontenterà”. ©
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