Luisito, 10 anni, abita a Colonia Morelos, un ammasso di baracche alla periferia di Ciudad Juarez, la città più pericolosa del Messico e dell’intero pianeta. Da gennaio, sono state assassinate oltre 3mila persone su una popolazione di 1,2 milioni di abitanti. Una strage prodotta dalla lotta tra i gruppi di narcotrafficanti – i cosiddetti cartelli – per il controllo del mercato della cocaina. Colonia Morelos – uno dei sobborghi più poveri – è uno dei fronti caldi della città. Due isolati dopo la casa di Luisito, c’è il centro di riabilitazione in cui, due anni fa, i narcos hanno massacrato otto pazienti durante la terapia. Di fronte, invece, si trova la “Escuela 18 de marzo”, costruita sopra una discarica. I gas rilasciati dall’immondizia producono piccole esplosioni che crepano i muri dell’edificio. Alle fenditure si aggiungono i fori di proiettili sparati, la notte, dai delinquenti. Luisito non ci fa caso. Per lui, questa scuola diroccata è “oasi segreta” nell’inferno di Juarez. Perché qui ha imparato a suonare il violino. E, ogni settimana, nel sottofondo delle impercettibili “eruzioni” dei gas, prova insieme agli altri 60 ragazzi – tra i 10 e i 17 anni – dell’Orchestra giovanile, nata cinque anni fa grazie al lavoro di Alma Rosa Gonzalez e dell’associazione “Ciudadanos comprometidos por la paz”. «Ci siamo ispirati al modello venezuelano. Ma l’abbiamo riadattato al contesto» spiega ad
Avvenire Alma Rosa. A Juarez e, in generale, nel Nord del Messico la violenza è endemica. L’intera società ne è pervasa. E stravolta. I narcos reclutano i minori perché “danno meno nell’occhio”: cominciano a spacciare a 7 anni, a 13 sono già dei killer. Secondo varie Ong locali, sono circa 25mila gli adolescenti al soldo dei cartelli. «I ragazzini accettano perché non vedono altre prospettive. Sono 7,5 milioni i giovani che non studiano né lavorano. La musica offre un’alternativa. Con l’orchestra, i bambini scoprono un mondo nuovo, fatto di esercizio, disciplina, armonia, spirito di quadra. La musica è bellezza. Esalta i sentimenti. L’opposto della barbarie proposta dai malviventi», aggiunge Alma Rosa. Lei conosce bene il dramma dell’emarginazione sociale. Figlia di una famiglia povera e spezzata dall’emigrazione – il padre è andato a cercare lavoro negli Usa e non è più tornato –, Alma ha cominciato a bere a 12 anni. A 14 era già un’eroinomane. «Mi sono drogata per ventun anni. Sono stata anche in carcere. A 35, poi, la mia vita è cambiata: ho scoperto la fede e ho deciso di mettere la mia esistenza e il mio talento a servizio di altri ragazzi. Ciò che sapevo fare era suonare. Allora ho detto: perché non trasformare la musica in un’arma contro i narcos?» racconta la Gonzales. E così è nata l’orchestra. Nelle scuole della città si svolgono corsi pomeridiani e gratuiti di strumento. Gli allievi più dotati, poi, entrano nell’orchestra giovanile. Al momento, circa 300 ragazzini partecipano all’iniziativa. Una parte, poi, sceglie di continuare. «Diversi si sono iscritti al conservatorio. E sono diventati concertisti. Senza l’orchestra non avrebbero mai scoperto il loro talento. Forse sarebbero diventati baby narcos. E magari sarebbero già morti». Non a caso, i trafficanti considerano l’orchestra una pericolosa “concorrente”. Ad ottobre, un commando ha fatto irruzione durante un concerto al liceo cittadino. Hanno sfondato la porta e sparato alcune raffiche in aria a mo’ di avvertimento. I piccoli musicisti si sono buttati a terra. Poi, hanno recuperato gli strumenti caduti e hanno ripreso l’esecuzione del brano. «Nessuno si è fermato. La musica è il loro grido di speranza. È il modo per dire: “Juarez è viva, noi non ci arrendiamo”». Con lo stesso proposito, domani, alle 18, l’orchestra si esibirà al teatro del seminario. «Suoneremo Mozart, Handel, Schubert. E, come sempre, verranno in tanti. Per dimostrare che c’è un’altra Juarez. Che i trafficanti non sono riusciti ad uccidere».