Michelangelo Bartolo tra i suoi piccoli pazienti
Medico, cooperante o scrittore? Se si chiedesse a Michelangelo Bartolo, probabilmente risponderebbe di sentirsi semplicemente un angiologo. Ha girato l’Africa per quasi 20 anni, installato centri di telemedicina in almeno 12 Paesi e creato una piattaforma di teleconsulto multispecialistico in continua crescita. E continua a svolgere il suo mestire di dottore all’ospedale San Giovanni di Roma. Ma è anche un “narratore nato”, per usare le parole di Andrea Camilleri, e ha da poco scritto il suo ultimo libro, <+CORSIVO50>L’Afrique c’est chic<+TONDO50>, pubblicato da Infinito edizioni alla fine dello scorso anno e arrivato alla quarta ristampa.
Di libri sui suoi viaggi in Africa ne ha pubblicati già altri due. E l’autore stesso si è chiesto se avrebbe avuto senso scriverne un altro. «Troppo spesso noi occidentali consideriamo l’Africa come un’unica realtà – si è poi risposto – e raramente riusciamo a individuare la diversità che c’è tra i 54 Paesi che la compongono. Come ci rimarremmo se qualcuno confondesse l’Italia con la Francia o con l’Ungheria? E quindi rispolverare qualche appunto di viaggio e narrare la storia e la vita di altri Paesi non è poi così inutile».
Bartolo ha iniziato la sua esperienza insieme alla comunità di Sant’Egidio nell’ambito del programma Dream. La Onlus Ght Telemedicine, da lui fondata, ne è una costola (seppur autonoma). Il primo centro per teleconsulto è stato aperto in Tanzania nel 2008 e a breve ne arriverà un altro in Zambia, finanziato dall’attore comico Max Giusti. «In 20 anni l’Africa è cambiata molto – dice ad <+CORSIVO50>Avvenire<+TONDO50> –. In Mozambico non c’era nulla che lo avvicinasse a un Paese occidentale. Ora le cose sono molto diverse. Certo il divario tra poveri e ricchi sta aumentando, però gli ospedali funzionano meglio. Lo Stato offre la terapia antiretrovirale per l’Hiv, una cosa impensabile fino a a qualche anno fa». Dream ha creato in Africa 46 centri, le postazioni per il teleconsulto coprono 20 specialità mediche e sono attive anche al di fuori del progetto di Sant’Egidio. «Grazie alla tecnologia si può essere vicini a distanza e dare consigli diagnostici complessi – spiega Bartolo –. Un nuovo tipo di cooperazione dove a muoversi non sono le persone ma le informazioni. Abbiamo anche richieste dall’Italia, ed è attivo un servizio nel carcere di Civitavecchia».
Certo non è facile operare in un clima sempre più ostile verso Ong e cooperanti: «Il vento in Europa e in Italia sta cambiando. Le Ong vengono talvolta viste come un fattore di incentivo dei flussi migratori. Per sentire parlar bene della cooperazione ci è voluto un incidente aereo. C’è una durezza delle parole che preoccupa». Un progetto come quello di Ght, dove tra l’altro finiscono tutti i proventi dei diritti d’autore di Bartolo, risponde all’esigenza tanto in voga di aiutare queste persone «a casa loro». «In realtà è quello che tante organizzazioni fanno da anni. Una persona emigra non solo quando non ha futuro per sé e la propria famiglia ma anche quando non vede futuro nel proprio Paese. Aiutare il servizio sanitario può essere un incentivo a restare».