domenica 26 ottobre 2008
Nei tradizionali feudi della destra la sfida per la presidenza si fa incerta per la prima volta da decenni: anche qui il democratico sta riscuotendo grossi consensi e rischia di beffare il rivale anche «fuori casa». Ma lo staff repubblicano ostenta sicurezza: «Abbiamo un esercito di volontari che si sta mobilitando».
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I ragazzi di Obama sono sbarcati all'alba provenienti da molti Stati dell'Unione. Altri cento volontari catapultati in Georgia, cuore del Sud degli Stati Uniti, bastione conservatore. Oggi però meno solido. Il rosso, colore che sulle mappe elettorali contraddistingue i repubblicani, è sempre più sbiadito tanto che gli esperti mettono la Georgia nei «battleground States», gli Stati incerti. Come la Virginia e la Nord Carolina, feudi repubblicani da decenni e oggi seriamente inclini a «tradire» la causa conservatrice. «I repubblicani hanno dato per garantito il successo al Sud " dice ad Avvenire il politologo Richard Engstrom ". E quest'anno si sono dimenticati di fare campagna elettorale. Ma non credo che Obama si aspettasse di essere competitivo qui nella Dixieland. Ora ha visto un'opportunità di vincere e può coglierla». La sua macchina elettorale funziona alla perfezione. In Nord Carolina corteggia gli studenti universitari e ha entusiasmato la nutrita componente afroamericana. Ha aperto 40 sedi locali e 1.700 volontari portano avanti la causa. McCain per tenere la bandierina rossa su Charlotte dovrà portare in massa alle urne gli evangelici. In Virginia, che non vota democratico dal 1964, Obama può contare anche sui colletti bianchi dei sobborghi di Washington. La strategia di «espansione» del conflitto seguita da Obama ha in Georgia uno dei terreni chiave. Caroline Adelman è la portavoce della campagna democratica ad Atlanta. Lo staff, dice, ha già 5mila volontari impegnati a perlustrare ogni contea per portare la gente alla urne e spingere Obama alla Casa Bianca. Dall'altra parte della capitale statale, invece, Mario Diaz, l'uomo che cura gli interessi di John McCain, non mostra particolare apprensione: «Abbiamo un esercito di volontari che si sta mobilitando» spiega. Non commenta però i sondaggi. Il più temuto è quello che viene fatto da InsiderAdvantage, una società di consulenza guidata da Matt Towery. Il veterano del Vietnam nelle ultime settimane ha dilapidato il vantaggio. L'ultimo rilevamento dà Obama avanti di un punto, 48 a 47 per cento. Basta ignorare le parole di Towery e leggere le rilevazioni di altri istituti per vedere McCain ancora avanti di 4 punti. Il problema è che nel Peachtree State, Bush nel 2004 arrivò al 58% e McCain è fermo al palo. Bob Barr, candidato alla presidenza del Libertarian Party e deputato della Georgia, ha detto che vincerà Obama. Non perché abbia fatto qualcosa di straordinario, ma perché «John McCain non è riuscito a connettersi con la nostra gente. Non è percepito come credibile sulle politiche fiscali e i tagli alle tasse», tema che scalda la platea conservatrice locale. Dal primo settembre quando la Georgia ha aperto formalmente le urne, già un milione di persone ha votato. Il 35% sono afroamericani. Tutti, o quasi, voti per Obama. Uno di loro è Dennis A. Brazil. Ha una piccola società di trasporti e accompagna uomini d'affari all'aeroporto e li scorrazza in giro per Atlanta. «Obama può garantire il cambiamento di cui abbiamo bisogno. Qui ad Atlanta molti credono in Barack, ma lontano dalla città, nelle zone rurali, sono tutti conservatori». Il fatto è che la crisi economica, il tracollo delle Borse, l'angoscia per i fondi pensione che hanno lasciato sul terreno miliardi di dollari e a bocca asciutta milioni di persone che sognavano un «buen ritiro», hanno sovvertito i pronostici anche nel South, culla del pensiero conservatore moderno. Che significa scetticismo nei confronti del potere federale e delle sue ramificazioni come il sistema tributario, difesa dei valori tradizionali, centralità della fede evangelica, e autodeterminazione statale. Retaggio, questo, della Guerra civile, di un mai del tutto sopito spirito secessionista. Spiega Joe Crespino, storico della Emory University: «Il Sud significa lotta per la difesa dei diritti degli Stati, che in passato era sinonimo anche di lotta per garantire la supremazia dei bianchi sui neri». Il portafoglio tuttavia oggi conta più dei valori tradizionali. Come se l'allarme recessione del 2008 consentisse di mettere da parte per un po' convinzioni e ideali in attesa di tempi migliori. In Nord Carolina Obama e i suoi surrogates (i sostenitori Vip) parlano solo di economia e posti di lavoro; in Virginia i temi sono identici. E in Georgia basta seguire lo scontro per il seggio senatoriale per capire che aria tira. Il senatore repubblicano in carica (incumbent) Saxby Chambliss arranca. Nell'ultimo dibattito lo sfidante democratico Jim Martin lo ha attaccato con successo sulla crisi finanziaria: «Sai cosa sta a cuore alla gente? L'economia, l'economia e ancora l'economia», gli ha ripetuto in maniera martellante. Quattro anni fa la sua corsa sarebbe stata al limite dell'impossibile. Oggi no. Chambliss ha chiesto aiuto al partito e nelle casse della sua campagna stanno affluendo soldi da altri Stati. Tenere il Sud è fondamentale per McCain. Perdere i tre Stati in bilico significherebbe sconfitta a valanga. Obama farebbe il Reagan, McCain il Jimmy Carter del 1980. Per Crespino però queste elezioni sono strane. Difficile collocarle in uno schema preciso. Lo spettro economico unito al carisma e alla forza di Obama hanno alterato equilibri decennali. Che sia una tempesta, violentissima, o l'avvio di un trend diverso che porterà a un allentamento dell'equazione «Sud uguale conservatore», è più difficile prevederlo. Il fatto " spiega lo storico " è che il partito democratico parla ancora un linguaggio strano per la stragrande maggioranza dei "southern". Le sue battaglie non sono quelle che fanno breccia fra la gente del profondo Sud. Alabama, Mississippi, Sud Carolina, in parte la Georgia e Arkansas restano un altro mondo rispetto al pensiero democratico contemporaneo. La frattura del 1948, quando Strom Thurmond portò i Dixiecrats (i democratici del Sud) fuori dal partito perché non tutelava lo stile di vita e la cultura segregazionista, fatica a ricomporsi salvo eccezioni: la vittoria di Clinton nel '92 e quella di Carter nel 1976. Pochi i governatori e i senatori democratici da queste parti. Oggi però l'economia e la figura di Obama accorciano le distanze. Se è solo una parentesi della storia e il mix cambierà il volto del Sud nei prossimi anni è un'altra questione. In fondo a Obama basta vincere nel 2008.
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