lunedì 27 maggio 2024
I civili sono stati catturati dai miliziani del’Adf al confine tra il Nord Kivu e l’Ituri: da anni i ribelli uccidono per il controllo delle risorse, ammantando di un falso jihadismo le loro azioni
Fotogramma del video della cattura dei civili da parte dell’Adf

Fotogramma del video della cattura dei civili da parte dell’Adf - Web

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Quattordici cristiani, molti dei quali giovanissimi, sono stati uccisi con i panga e a colpi di kalashnikov in una zona della provincia congolese del Nord Kivu non lontano da quella dell’Ituri per mano dei ribelli delle Forze alleate democratiche (Adf). Si tratta di un gruppo armato che nel 2019 ha annunciato la propria affiliazione allo Stato islamico, accentuando così la connotazione jihadista della sua agenda politica. Il motivo dell’esecuzione è stato il loro aperto rifiuto di convertirsi all’islam. Il massacro, avvenuto una decina di giorni fa nei pressi del centro di Eringeti, è documentato in un video diffuso dal gruppo jihadista e rilanciato in Europa da fonti della società civile. Il commento delle immagini, a dir poco agghiaccianti, è in lingua kiswahili; in particolare, la voce algida e compassata è quella di un giovane congolese preso prima in ostaggio dagli islamisti e costretto poi a convertirsi per evitare la pena capitale. Le stesse fonti riferiscono che ogni settimana si verificano uno o due raid, vere carneficine, nei villaggi o nei campi, a volte anche sulle strade in terra battuta: uccidono, incendiano e sequestrano impunemente ragazzi e ragazze cristiani o animisti, che successivamente vengono sottoposti a sedute d’indottrinamento invasive: una sorta di lavaggio del cervello che trasforma queste reclute in automi in grado di compiere indicibili nefandezze, grazie anche alla somministrazione di sostanze stupefacenti. L’ultimo attacco, in sequenza temporale, è avvenuto a Maji Moto, tra Oicha e Eringeti, circa 40 chilometri da Beni, nella notte tra giovedì e venerdì scorsi, con un bilancio di almeno 4 morti.

Nel corso degli ultimi dieci anni è stata segnalata la presenza di mercenari libici, sudanesi e ciadiani, a fianco delle Adf. Quest’ultimo è un gruppo eversivo ugandese, in passato finanziato dal governo di Khartum, che proprio nell’ex Zaire, in prossimità del confine con l’Uganda, ha allestito le proprie basi operative. A combattere a fianco delle Adf, in questa zona nordorientale della Repubblica democratica del Congo, vi sarebbero miliziani che parlano arabo, appartenenti alla famiglia estesa dei Baggara, insediata nel Sudan Occidentale e nel Ciad Orientale.

In queste ore la popolazione locale continua a fuggire per il costante incalzare dei ribelli dell’Adf i quali hanno intensificato negli ultimi mesi le azioni di destabilizzazione, soprattutto nella circoscrizione di Beni, finanziandosi grazie al trasporto illegale transfrontaliero di cacao, legname pregiato e oro, oltre che attraverso aiuti economici provenienti dall’estero (soprattutto da mercanti e uomini d’affari salafiti). Vera ragione degli assalti mascherati spesso da motivi religiosi. Lo spopolamento di queste aree sarebbe funzionale anche allo sfruttamento del petrolio, unitamente alla creazione di altri campi di addestramento e indottrinamento, che potrebbero intensificare ulteriormente la presenza jihadista nel cuore dell’Africa. È dunque evidente l’utilizzo dell’ideologia islamista per fini lucrativi e al contempo eversivi, una strategia che trova il suo infelice riscontro anche nella fascia saheliana, in Somalia e nel Nord del Mozambico.

Nel frattempo, la situazione è sempre critica nella città congolese di Goma, capoluogo del Nord Kivu, sotto la costante minaccia dei ribelli filo ruandesi del movimento M23 i quali hanno come principale obiettivo il controllo dei traffici minerari, soprattutto di coltan, diamanti e quant’altro. Nel Nord Kivu sono presenti anche altre formazioni armate tra le quali figurano i Mayi-Mayi, una milizia popolare dedita al banditismo. Inquietante è l’indifferenza della comunità internazionale che sembra stare alla finestra a guardare.

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