sabato 6 giugno 2015
​​La stampa britannica denuncia la scarcerazione dei talebani che erani stati condannati a 25 anni per l'aggressione alla giovane Nobel per la Pace.
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​​Un inatteso colpo di scena ha segnato la vicenda dell'attentato del 2012 alla ora Premio Nobel per la Pace Malala Yousufzai: otto dei dieci talebani pachistani processati a porte chiuse alla fine di aprile da un tribunale militare, e che tutti credevano in carcere con una condanna a 25 anni, sono invece stati liberati segretamente nelle scorse settimane, perchè assolti dai giudici. L'incredibile verità è stata denunciata dalla stampa britannica e candidamente confermata sia a Londra da un portavoce dell'ambasciata pachistana sia ad Islamabad da fonti della polizia, che tuttavia hanno rifiutato l'esistenza di "qualsiasi trattativa segreta", imputando tutto ad una "cattiva interpretazione da parte della stampa della sentenza originaria". Ma è impossibile credere ad un enorme malinteso generale sull'annuncio che fu dato ai media il 30 aprile e che evocò la condanna a 25 anni (che in Pakistan equivale ad ergastolo) per "ognuno dei dieci militanti coinvolti" nel tentativo di omicidio di Malala, che all'epoca aveva meno di 14 anni. Se ci fosse stata una cattiva interpretazione della sentenza, peraltro, la magistratura avrebbe precisato la realtà dei fatti. Così non è stato. Autorevoli fonti della sicurezza hanno detto al britannico Daily Mirror che "si trattò di una tattica per allontanare la pressione dal caso di Malala, perchè il mondo intero voleva le condanne per il crimine perpetrato". Quel processo, hanno poi assicurato, "non ha avuto alcuna credibilità perchè nessun testimone indipendente è stato ammesso. C'erano solo pm, giudici, l'esercito e gli imputati". Su questo punto ha però replicato Azad Khan, responsabile della polizia pachistana della zona di Maland, dove viveva Malala. "È stata una decisione del tribunale antiterrorismo di condannare solo due dei dieci accusati a 25 anni di carcere - ha detto l'ufficiale - e rilasciare gli altri otto". "La vicenda non è stata nascosta - ha aggiunto - e tutti i particolari sono nei registri della giustizia". Quando la decisione del tribunale ha raggiunto qualche tempo dopo il carcere, ha concluso, "gli accusati sono stati rilasciati".    A relativizzare, sia pure solo lievemente, la gravità dell'accaduto vi è che dal dibattito in tribunale prima della condanna emerse che gli imputati arrestati dall'esercito nell'autunno scorso appartenevano alla logistica che aveva progettato e messo in esecuzione l'attentato. Erano invece ancora alla macchia non solo il comandante del Tehrek-e-Taliban Pakistan (PTT) Maulana Fazlullah, che diede l'ordine di eliminare la giovane, ma anche i killer che salirono sul minibus e spararono dopo aver chiesto: "Chi è Malala?", e che forse il giorno stesso fuggirono nel vicino Afghanistan. La giovane, appena adolescente, si batteva per rendere possibile l'istruzione delle donne in Pakistan e per questo era diventata un obiettivo primario dei talebani pachistani. E la condizione della donna ed il suo ruolo nella società islamica dell'Afghanistan sono stati al centro di un incontro terminato ieri ad Oslo, in Norvegia, a cui hanno partecipato esponenti femminili di istituzioni, governo e società civile afghane, che perla prima volta si sono confrontati con delegati talebani in vista di futuri negoziati di pace.
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