Centinaia di catalani, anche intere famiglie, hanno passato la notte nei seggi elettorali del referendum di domani in diversi centri civici e scuole per impedire che vengano chiusi dalla polizia. La polizia catalana ha chiesto agli occupanti di liberare i locali entro domani alle 6 del mattino ma non è intervenuta per allontanarli, secondo i media catalani. L'occupazione dei seggi dovrebbe prolungarsi la prossima notte.
«Mamma, che fai? Sei sempre stata contraria all’indipendenza? », domanda incredula la signora, alla madre anziana intenta ad applaudire. Barcellona, ore 13,30. Sulla Gran Vía sfila una colonna di centinaia di trattori. Dalle cabine, sospese sulle grandi ruote sgraziate, sventolano le esteladas, le bandiere simbolo del separatismo catalano. L’intera città ne è piena. Pendono dai balconi delle case, dalle vetrine dei negozi, dalle edicole. «Bravi ragazzi, venite a sostenerci!», urla la vecchietta, poi si rivolge alla figlia: «Che c’entra la secessione. Mica possiamo farci calpestare senza reagire… Madrid ha esagerato!». La sfilata di trattori passa davanti all’Università, in rivolta ormai da più di una settimana. Gli studenti l’accolgono con grida di giubilo. Gli autisti – appartenenti all’Assemblea Pagesa e ai sindacati agricoli Unio’ Pajesos e Jarc Colonne – accennano inchini. A poco più di quaranta ore dall’apertura dei seggi, in Catalogna si respira un’atmosfera goliardica, a dispetto delle misure eccezionali messe in atto dal governo spagnolo per fermare la votazione separatista di domani.
Agli arresti, alle denunce, all’invio di rinforzi, all’ordine di recintare i seggi, alla chiusura dello spazio aereo su Barcellona ai voli privati, i catalani hanno scelto di rispondere con l’iro- nia. Ignorando, fino all’ultimo, gli strali di Madrid. Perfino, le multe salatissime – 600 euro – per chi collaborerà alle operazioni di voto. Nonché l’ipotesi, formulata ieri dalla Moncloa (l’esecutivo spagnolo), di conseguenze «personali e patrimoniali» – in pratica un processo per «slealtà» – per il presidente della Generalitat, Carles Puigdemont, e il vice Oriol Junqueras se andranno fino in fondo. Cosa quest’ultima ormai scontata. I vertici del governo catalano, ieri, hanno chiamato alle urne – di cui tenevano in mano un prototipo “made in China”, confezionato per l’occasione – i 5,3 milioni di cittadini della regione. E il 63 per cento di loro, in base alla più recente rilevazione, sembra intenzionato a farlo. Di fronte a Monjuic, ieri, per l’atto di chiusura della campagna dei separatisti erano in migliaia. Il “muro contro muro” ormai è totale. Tanto che il re, Felipe VI, ha sospeso tutti gli impegni in agenda a partire da lunedì. Eppure il popolo del «proces» (come chiamano il separatismo) appare scanzonato. Come il simbolo adottato per la ribellione: il «Piolín». Ovvero, in italiano, Titti. Il canarino monello, che nei cartoni animati fa disperare il povero Silvestro, è disegnato ovunque. «L’abbiamo scelto per caso.
Era raffigurato su una delle navi su cui sono alloggiati gli uomini della Guardia civil inviati da Madrid. In rete, hanno cominciato a circolare battute e il governo ha ordinato di coprirlo. Da allora è diventato un tormentone. Poi Rajoy (il premier spagnolo, ndr) somiglia a Silvestro», scherza Leonardo, catalano e brasiliano, come si autodefinisce. Seduto di fronte a un tavolo improvvisato, il giovane distribuisce schede elettorali. Quelle che la polizia nazionale sequestra a milioni da giorni e che tornano a spuntare ovunque. A chi lo chiede, inoltre, i ragazzi – smanettando su Internet – confermano il seggio assegnato, in base alla residenza. Il Tribunale di giustizia catalano ha chiesto a Google di chiudere l’App creata dalla Generalitat, ma grazie a Facebook, Twitter, Whatsapp e Telegram, le informazioni circolano comunque. «Se c’è qualcuno di Raval – grida Julia, 21 anni, all’altro capo del tavolo – , vada a dare una mano all’Institut Miguel Tanadell. Ho ricevuto un Sms dal comitato».
I «comitati» – il nome completo è “comitato di difesa del referendum” – si moltiplicano nei quartieri di Barcellona e dintorni. Li formano famiglie, giovani, anziani, riuniti grazie alla piattaforma «escolesobertes », «scuole aperte». L’idea è quella di occupare gli istituti e uffici pubblici fino a domani notte, in modo che possano essere impiegati come seggi. E che non vengano blindati dai 17mila agenti locali, i Mossos d’Esquadra, che hanno ricevuto ordine tassativo da Madrid. Il comandante, Josep Lluis Trapero, ha detto che i suoi uomini obbediranno e che inizieranno sgombero e chiusura all’alba del giorno del voto. Ma – ha sottolineato – senza violenza. «Anche noi eviteremo ogni forma di scontro», dice Elisabet, una simpatica sessantenne, di fronte al liceo Miguel Tanadell. Accanto a lei ci sono adolescenti con i sacchi a pelo e gli zaini stracolmi di giochi da tavola per riempire l’attesa nei prossimi due giorni. Ma ci sono anche delle famiglie con bambini. «Mia moglie ed io non potremo rimanere tutto il tempo. Il nostro figlio più piccolo ha tre mesi. Faremo i turni – spiega Jordi, parlando piano per non svegliare il neonato, in braccio – . Se ci cacciano lo stesso? Beh, come ha detto la Generalitat troveremo alternative ».