Il dolore della gente dopo il bombardamento di un condominio a Kharkiv - Ansa
Il fieno. La culla. Il grano. Ma anche i resti di tre razzi russi. E appese alla colomba della pace «le schegge del missile che ha mandato in frantumi il volto della statua della Madonna di Fatima quando il Seminario di Vorzel è stato bombardato all’inizio della guerra nel 2022», racconta il nunzio apostolico in Ucraina, l’arcivescovo Visvaldas Kulbokas. Ecco il presepe che dà il benvenuto a chi entra nella rappresentanza diplomatica della Santa Sede a Kiev. «Siamo al terzo Natale di guerra - spiega il nunzio -. Nella gente c’è stanchezza. E le atrocità del conflitto provocano profonde domande esistenziali: perché tutto ciò? Quando finirà questa tragedia? Il mistero dell’Incarnazione ci dice che il Signore non ci abbandona ed è sempre con noi».
Il nunzio a Kiev, l’arcivescovo Visvaldas Kulbokas, durante la Messa di Natale dello scorso anno - Gambassi
Dopo oltre mille giorni di invasione su vasta scala, l’ipotesi di fermare le armi è entrata nelle dichiarazioni ufficiali della politica mondiale. «Il fatto che esponenti di governo o di partito di moltissimi Paesi parlino allo stesso modo lascia intendere che ci sia un certo fermento e movimento - dice l’arcivescovo Kulbokas ad Avvenire -. Comunque è difficile prevedere se e come si raggiungerà la pace. Ma considero positivo ogni tentativo che scuota la situazione di stallo. Certo, non abbiamo bisogno di iniziative diplomatiche che si limitino a una telefonata o a una visita, ma di azioni serie. Ritengo che alcuni contatti siano già in corso. Però è necessario che avvengano in modo responsabile: con gli attori mossi non da soli interessi di parte, ma dal desiderio di salvaguardare la famiglia umana. E questi tentativi devono essere accompagnati dalla preghiera».
Il presepe con i resti dei missili allestito nella nunziatura apostolica a Kiev - Gambassi
Eccellenza, la Santa Sede ha sempre tenuto aperti i canali fra Kiev e Mosca con la sua diplomazia umanitaria che sta contribuendo allo scambio dei prigionieri di guerra e alla restituzione dei bambini alle famiglie.
Per la Chiesa il fulcro è l’essere umano. Quindi cerca sempre di favorire i contatti per il bene delle persone: sia quelli possibili, sia quelli all’apparenza impossibili. Vale naturalmente per la guerra in Ucraina. Nel caso della Russia, ci sono contatti non solo con le autorità politiche ma anche di altro tipo, comprese quelle ecclesiali. I risultati possono apparire non troppo tangibili. E questo ci spinge a compiere ulteriori sforzi: lo vedo nel Papa, nella segreteria di Stato, nella missione del cardinale Matteo Zuppi, nel lavoro delle nunziature, inclusa la nostra. Del resto ogni tentativo di dialogo è già di per sé un antidoto alla guerra.
Nei giorni che precedono il Natale, Mosca e Kiev si dicono disposte a un nuovo scambio di detenuti di guerra. Un segnale?
Qui in Ucraina è un tema che tocca sia le istituzioni, sia soprattutto tante famiglie: dei prigionieri, dei civili catturati, dei dispersi al fronte. La Santa Sede insiste su questo versante perché è la dimostrazione che la guerra non ha corroso tutto e c’è ancora un sussulto di umanità fra le parti. Come Chiesa auspichiamo uno scambio completo dei prigionieri, tutti per tutti, non soltanto dei militari. Ci sono in cattività anche civili che non hanno nulla a che fare con i combattimenti o esponenti religiosi.
Trascorrerà il Natale a Kharkiv, città sotto costante attacco e a ridosso dei campi di battaglia.
Ritengo che le solennità del Natale o della Pasqua risplendano di più in mezzo alla sofferenza. A Kiev, fra sistemi di difesa e distanza dalle zone calde e dalla Russia, avvertiamo meno i danni degli attacchi. Invece nelle località lungo il fronte si tocca con mano la precarietà che la guerra causa e la si legge negli occhi di tutti. C’è bisogno di portare la luce in terre dove si vive letteralmente al buio per la mancanza di elettricità stabile, tranne quando funzionano i generatori donati da qualche Ong. Poi in zone come Kharkiv la popolazione è consapevole che, quando esce di casa per andare a pregare, non sa se ritroverà l’abitazione intatta.
La vita negli scantinati lungo la linea di combattimento nella regione di Kharkiv - Ansa
Il Papa ha nel cuore l’Ucraina: lo posso testimoniare personalmente. E la sua continua preghiera per la pace si fa appello al mondo. Spesso Francesco ha condannato i produttori di armi. Si tratta di un discorso più ampio: il Pontefice richiama a non vivere con superficialità i tempi di pace e costruire davvero un’armonia che non sia solo apparenza e che non ponga le condizioni per nuove guerre.
La fede è sostegno in tempo di guerra?
Sicuramente. Lo raccontano i militari, spesso gente comune arruolata che, credente o non credente, cerca conforto nel cielo di fronte alle brutalità degli scontri. O lo testimoniano le famiglie che hanno perso i loro cari, che li hanno dispersi o prigionieri. In Ucraina tutti concordano sul fatto che la Chiesa è chiamata a far riscoprire la presenza divina dentro ciascuno di noi. Non sono parole: sotto le bombe l’unica difesa vera è la forza della fede che evita il collasso personale.
Come vivrà l’Ucraina il Giubileo?
I vescovi del Paese sottolineano molto il tema della speranza che scandisce l’Anno Santo e che è quanto mai urgente per la nazione. Soltanto in pochi potranno recarsi in pellegrinaggio a Roma, ma saranno aperte le porte giubilari e promosse iniziative per dare la possibilità a chiunque di vivere questo periodo benedetto dal Signore. Inoltre nel 2025 concorrono i 1700 anni dal Concilio di Nicea. Un anniversario che richiama i cristiani a essere “fratelli tutti”: ecco perché ha dell’incredibile vedere una guerra fra cristiani stessi, coma accade oggi.