«Questa crisi è frutto dell’assenza della “po-litica”, intesa come capacità di confrontarsi, negoziare, andare oltre le formule precostituite. Per l’operazione di polizia anti-referendum, avviata la settimana scorsa, Madrid ha scelto un nome curioso: “Anubi”. Come il dio della morte nell’antico Egitto. La domanda è: chi sta “uccidendo', metaforicamente, il governo centrale con la sua strategia? Forse il voto, ma non di certo il sentimento indipendentista catalano. Anzi...». Enric Juliana, vice-direttore de La Vanguardia, è uno dei più noti analisti politici spagnoli. Da sempre attento alla questione nazionalista, in questo momento non nasconde le critiche a entrambi gli sfidanti. Da una parte – sottolinea Juliana – c’è un settore del «catalanismo un po’ allucinato», dall’altra, un potere centrale incapace di affrontare la questione nella sua complessità. «Madrid ha dimenticato che, da sempre, la faglia di San Francisco della politica spagnola passa per la Catalogna».
L’autonomismo nella regione ha profonde radici storiche. La crescita dell’indipendentismo, però, riguarda l’ultimo decennio. A che cosa si deve?
Alla somma di diversi fattori. Primo, il malcontento seguito all’abrogazione del nuovo statuto autonomista catalano che aumentava le prerogative dell’amministrazione locale, da parte della Corte suprema nel 2010. A questo si è aggiunto un elemento decisivo: la crisi economica. La recessione ha fatto da moltiplicatore ai movimenti di protesta contro una classe politica considerata incapace di amministrare la cosa pubblica. L’indipendentismo è stata la risposta delle classi medie catalane. Il loro modo di 'indignarsi'. Il separatismo ne ha catalizzato la rabbia, la frustrazione, divenendo il simbolo della protesta politica. Un fenomeno che il potere centrale non ha saputo o voluto vedere. Che cosa intende? A lungo Madrid ha ignorato il problema, limitandosi a ripetere, come un disco rotto: «Bisogna rispettare la legge». È vero. Però la legge va applicata nella realtà. E questo è compito della politica. Ciò che, ripeto, è mancato.
Ora, però, Madrid ha deciso di agire con fermezza. Come valuta le misure adottate?
Il governo ha voluto fare una prova di forza. La sua strategia, però, ha finito per galvanizzare ancor più gli indipendentisti.
A questo punto, come si esce dal pantano?
L’unica cosa da fare è evitare ad ogni costo una deriva violenta dello scontro. Con ogni probabilità, dato l’imponente dispiegamento di forze, nelle principali città, pochi riusciranno a votare. La Generalitat e il governo spagnolo daranno di questo fatto due letture opposte. Per la prima, una partecipazione anche minima sarà comunque una prova di resistenza. Per il secondo, sarà la dimostrazione di un fallimento.
Che cosa accadrà lunedì?
Barcellona ha due strade. Può optare per una dichiarazione unilaterale di indipendenza, a prescindere dall’affluenza. Un finale “wagneriano”, dagli scarsi effetti pratici. La Generalitat non dispone di un reale controllo del territorio con una forza autonoma, di risorse né di sostegno internazionale. Oltretutto la secessione verrebbe annullata immediatamente dal governo centrale che, a quel punto, potrebbe applicare l’articolo 155 della Costituzione e sciogliere l’esecutivo regionale, convocando nuove elezioni. O potrebbe essere la Generalitat stessa a voler andare al voto, e questa è la seconda strada. La consultazione amministrativa diventerebbe una cartina di tornasole sulla secessione, aggirando il nodo del referendum. Il nuovo esecutivo dovrebbe, poi, confrontarsi con Madrid. Di nuovo si torna al principio: la politica, la grande dimenticata...