venerdì 6 settembre 2024
L'ex commissario europeo ha 73 anni. Dal lontano 1973, quando diventò consigliere provinciale in Savoia, ha collezionato incarichi sempre più alti, in Francia e in Europa
Il passaggio di consegne da Attal (a sinistra) a Barnier

Il passaggio di consegne da Attal (a sinistra) a Barnier - ANSA

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Dal lontano 1973, quando diventò consigliere provinciale in Savoia, ha collezionato incarichi sempre più alti, in Francia e in Europa, guadagnandosi spesso la stima degli avversari. Tanto che nel centrodestra francese d’estrazione gollista, il nuovo premier francese Michel Barnier è stato a un certo punto visto da molti come un «aspirante all’Eliseo mancato», avendo le competenze e l’esperienza per la poltrona suprema, ma non il carisma e lo spirito pugnace che in genere fanno la differenza in un’elezione presidenziale.

Originario della Val d’Isère nota per le gare di sci e vicina al confine italiano, Barnier ha precocemente esibito tempie bianche come quella neve alpina che l’ha visto crescere. E come per un gioco di bilanciere, riceve il testimone, come premier più anziano della Quinta Repubblica, da Gabriel Attal, che invece è stato il più giovane, insediandosi lo scorso gennaio a 34 anni.

Nel caso di Barnier, poche altre figure politiche, in Francia, possono vantare di conoscere così bene al contempo i banchi parlamentari, i vertici dei ministeri e le istituzioni che contano dell’UE. Deputato per tre legislature dal 1978 al 1993, occupando parallelamente la poltrona di presidente provinciale della Savoia (1982-99), Barnier otterrà nel 1993 il primo incarico di ministro, all’Ambiente, sotto Balladur. Poi, con l’avvento di Jacques Chirac all’Eliseo, il savoiardo guiderà gli Affari Europei (1995-1997), l’incarico che gli spalancherà l’orizzonte verso le future responsabilità di commissario europeo alla Politica regionale (1999-2004), sotto Romano Prodi, e un decennio dopo al Mercato interno (2010-14), sotto José Barroso, prima del delicatissimo incarico di capo negoziatore Ue con la Gran Bretagna della Brexit (2016-21). A queste prestigiose responsabilità, Barnier ha alternato altri due posti di ministro in Francia: Affari Esteri (2004-05) e Agricoltura (2007-2009, nell’era Sarkozy). A completare, pure le esperienze come senatore (1997-99) ed eurodeputato (2009-2010). Insomma, una carriera politica che assomiglia a un “grand tour” delle stanze del potere.

Figura compassata e poco propensa alle esibizioni di grinta, Barnier ha pagato spesso quest’apparente carenza di combattività e di doti da leader carismatico. Solo nel 2021, quando ha già 70 anni, cercando di coronare una carriera così ricca e prestigiosa, manifesta la volontà di partecipare alla corsa interna neogollista per la designazione del candidato all’Eliseo. Definendosi al contempo come «un patriota e un europeista», difende sulle questioni migratorie una linea dura vicina a quella dell’ultradestra, ma sarà poi sconfitto dall’ex ministra Valérie Pécresse. Pur rispettato da tanti luogotenenti neogollisti, Barnier non è dunque riuscito a conquistare la base del partito, che non l’ha mai riconosciuto come un “condottiero” degno di prendere la scia di Chirac e Sarkozy.

L'incarico a Barnier fa infuriare la Gauche

Il giovanilismo al potere è acqua passata nella Francia in piena tormenta politica e che torna a scommettere sull’esperienza. Dopo quasi 2 mesi di caccia a tutto campo a un candidato premier “incensurabile”, cioè capace di sedurre una maggioranza di deputati nell’Assemblea Nazionale più spaccata di sempre della Quinta Repubblica, un savoiardo canuto e noto ai francesi ha accettato ieri la nomina dal presidente Emmanuel Macron. È l’ex commissario Ue Michel Barnier, 73 anni, navigante di lungo corso ai vertici del Paese e dell’Ue. Non un uomo per tutti i gusti, ma un rispettato reduce di tante stagioni politiche, affrontate con qualità che valgono oro nella rissosissima Francia di queste settimane: temperanza e capacità di ascolto e dialogo. Non a caso, si tratta dello stesso abile e paziente negoziatore che l’Europa aveva scelto per appianare l’ingarbugliatissima relazione post-Brexit con il Regno Unito.

«Dirò la verità», ha promesso Barnier al momento dell’insediamento, assicurando di voler «rispondere alle sfide, alle rabbie e alle sofferenze» dei connazionali, con umiltà, determinazione, perseveranza: «Ma ci saranno anche cambiamenti e rotture», ha avvertito.

Il savoiardo si prepara ad affrontare ostacoli e prevedibili agguati politici d’ogni tipo. In particolare, la nomina di una figura di centrodestra è andata di traverso alla coalizione di sinistra uscita vincitrice in termini di seggi, sia pur di misura, proprio alle ultime Legislative. Squilli di rivolta sono così giunti dal “tribuno rosso” della gauche radicale, Jean-Luc Mélenchon, che chiede «la mobilitazione più potente possibile il 7 settembre per il rispetto della democrazia, per una buona comprensione di cosa siano le istituzioni repubblicane poste sotto la sovranità del popolo».

Non appartenendo alla coalizione oggi prima nell’emiciclo, il nuovo premier è «illegittimo» pure per il Partito socialista. Sul piede di guerra anche una parte dei sindacati. Dall’area neogollista, è giunto invece un prevedibile plauso, mentre l’ultradestra lepenista — giunta terza nello scrutinio in termini di seggi, ma prima per suffragi ottenuti — si è mostrata attendista, senza minacciare subito iniziative parlamentari ostili di censura: «Vedremo se Michel Barnier riuscirà almeno a garantire una legge finanziaria equilibrata», ha detto l’ultranazionalista Marine Le Pen.

A livello Ue, invece, un’improvvisa pioggia di complimenti e incoraggiamenti conferma che l’Eliseo ha puntato su un uomo potenzialmente utile pure per consolidamenti futuri della casa europea: «Abbiamo lavorato bene insieme a Bruxelles. Buona fortuna amico mio!», ha lanciato, sul social X, il nostro vicepremier e capo della diplomazia Antonio Tajani, nelle stesse ore in cui reagivano in modo analogo pure Ursula von der Leyen («Ha a cuore gli interessi dell’Europa e della Francia»), o ancora il suo connazionale Manfred Weber, capogruppo del Ppe all’Europarlamento («Soddisfa chiaramente le qualità di cui la Francia ha bisogno»).

La lista dei ministri dovrebbe giungere a stretto giro di posta. Anche perché si avvicina la scadenza di un test politico obbligatorio e delicatissimo: proprio il varo in autunno della Legge finanziaria, in un Paese in cui il debito pubblico è divenuto una voragine, con un preoccupante corollario di rischi avvertiti, soprattutto negli ambienti economici, circa la capacità del Paese di restare pienamente a galla. Di certo, si annunciano per Barnier mesi di navigazione a vista, con un imminente test decisivo di credibilità a livello europeo, dato che la Commissione Ue attende entro il 20 settembre dalla Francia il piano e le “traiettorie” con cui intende far rientrare i conti pubblici in carreggiata entro il 2028.


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