Gli unici forse a rallegrarsi in Messico sono i venditori di “tapabocas”, le mascherine anti- contagio, indossate ovunque. Chiusi per precauzione nella capitale ristoranti e alcuni uffici governativi; rimandati i campionati nazionali di nuoto come alcuni incontri di calcio, limitate pure le celebrazioni religiose anche se il ministro del lavoro Lozano ha affermato perentorio: «L’attività economica deve continuare» escludendo il fermo delle attività produttive. Intanto contro la “gripe porcina” la popolazione ha fatto scorte di cibo e acqua, mentre le scuole resteranno chiuse fino al 6 maggio. E il Senato messicano ha deciso di riunirsi a porte chiuse fino a data da destinarsi consentendo l’accesso al palazzo governativo solo ai senatori e al personale indispensabile ma dopo un severo controllo medico. Intanto i morti sono tre in più rispetto a lunedì: 152 in tutto il bilancio «probabile» del ministro della Sanità, José Angel Cordova, che ha osservato come l’epidemia potrebbe essere in decrescita: 6 decessi sabato, 5 domenica e 3 lunedì. Intanto fra i media messicani si rincorrono le ipotesi su quale sia stato il focolaio delle infezioni: un allevamento di maiali nello Stato sudorientale di Veracruz che il 2 aprile avrebbe infettato a Perote un bambino di 4 anni, poi guarito. Il governatore di Veracruz, Fidel Herrera, ha però dichiarato che l’influenza dei suini «ha origine in Asia, probabilmente in Cina». Undici giorni dopo il caso zero: il 13 aprile, si verificava la prima morte accertata per febbre suina: Adela Maria Gutierrez Cruz, 39 anni, deceduta nello stato di Oaxaca, a sud di Città del Messico. La donna, si è poi appreso, era un’impiegata del censimento che raccoglieva dati porta a porta, entrando in contatto con moltissime persone. Ieri l’Organizzazione mondiale della Sanità, che lunedì aveva alzato il livello di allerta da 3 a 4 (su una scala di sei), ha precisato che il virus «non ha mostrato per ora alcuna resistenza ai due farmaci utilizzati per trattarlo», l’oseltamivir e il zanamivir. Il portavoce dell’Oms, Gregory Hartl, ha chiesto di non cedere all’allarmismo e ai “rumors” anche se il rischio pandemia è reale. Le «restrizioni di viaggio non funzionano» quando il virus può venire incubato per due o tre giorni e i sintomi più gravi appaiono non prima di cinque, tuttavia «è prudente che i governi dicano ai cittadini di pensare due volte prima di recarsi in zone colpite», fanno sapere dal quartier generale dell’Oms. Nelle stesse ore la Casa Bianca, come anche il Foreign Office di Londra, la Farnesina e le principali cancellerie del mondo, avevano invitato i propri cittadini a recarsi in Messico solo se strettamente necessario. Numerose aziende giapponesi che operano in Messico, come Hitachi, Mitsubishi, Suzuki, Denso, hanno raccomandato ai familiari e ai loro dipendenti di abbandonare il Paese. Intanto per l’Organizzazione mondiale della sanità il contagio è giunto ufficialmente in altri due Paesi, sei in tutto, e il totale dei casi di contagio è salito dai 73 di lunedì a 79. Il Paese con il più alto numero di contagi accertati sono gli Stati Uniti con 40 casi segnalati (lo stesso numero di lunedì), seguiti dal Messico (26 come ieri), il Canada (sempre a 6). Confermato dall’Oms che l’epidemia ha raggiunto ormai l’Europa: la Spagna con due casi – uno in più rispetto a lunedì – due nel Regno Unito che potrebbero essere le punte di un iceberg. Tre i casi in Nuova Zelanda. Ma l’Oms prende in considerazione per le statistiche solo i casi ufficialmente notificati e confermati da analisi di laboratorio. Ma i segnali di allarme sono molti di più: se sempre in Messico i casi sospetti sarebbero ben 1600, negli Usa secondo il Cdc (l’organismo federale di controllo sanitario) si è raggiunta la quota 68 e in serata “Fox News” ha denunciato le prime due vittime sospette a Los Angeles. Intanto in Europa si stanno facendo ulteriori accertamenti in Spagna (26 casi), in Svezia (5 casi), in Francia (4 casi) mentre in Italia un allarme nel vicentino è rientrato. Secondo la Commissione europea in 13 Stati dell’Ue sono ancora presenti 70 casi sospetti e 18 sono quelli già risultati negativi. Due segnalazioni sono giunte pure da Israele dove l’emergenza è gestita dall’esercito, ma l’influenza suina lambisce anche l’Asia: in Cina alcuni pazienti, sospettati di essere dei portatori sani, sono sotto stretta osservazione, mentre un caso è segnalato in Corea del Sud. Una pandemia non inevitabile, ha affermato Keiji Fukuda, vice-direttore generale dell’Oms, tuttavia «l’influenza si sviluppa in modi per noi imprevedibili». Per questo tutti i governi devono prepararsi al peggio, specie nelle nazioni più povere a rischio di «essere colpite in maniera sproporzionata».