Anche se i maligni sostengono che il 60 per cento della sua tesi sia stato smaccatamente copiato, Vladimir Vladimirovic Putin si è laureato in Diritto internazionale all’Università di Leningrado nel 1975. Ma in questi giorni, davanti alla platea del mondo, è sembrato più un fisico teorico che un giurista dimostrando con i fatti la sua Teoria generale dell’impunità geopolitica relativa. Ha postulato un principio, quello della libertà assoluta di azione. E lo ha dimostrato. Con poche mosse e qualche migliaio di militari delle truppe speciali, i famigerati “Spetnaz”, ha preso la Crimea e messo sotto scacco l’intero Occidente.Il principio iniziale, formulato nella prima permanenza al Cremlino e raffinato un paio d’anni dopo il suo ritorno sulla Piazza Rossa, è semplice: può un ex potenza imperiale agire come se il Muro di Berlino non fosse crollato, come se la Guerra fredda fosse ancora a temperature di gran lunga inferiori allo zero e la politica dei blocchi di fatto resistente a qualsiasi istituzione sovranazionale? La risposta che sembra aver dato in questi giorni è: sì, può farlo.È riuscito, senza sparare per ora una sola cartuccia, a occupare la penisola di Crimea. Come un abile giocatore di basket ha messo i suoi militari in posizione di “blocco” che, senza commettere fallo, hanno neutralizzato qualsiasi azione delle inconsistenti forze militari ucraine presenti intorno alle basi della punta meridionale crimea. Poi ha gestito le naturali reazioni, che sono state in ordine sparso e spuntate. L’Europa si è spaccata ancora prima di riunirsi lunedì a Bruxelles e difficilmente troverà una linea comune domani al vertice dei capi di Stato e governo convocato in fretta e furia nella capitale dei 28. Per la annosa miopia energetica, la Germania e in parte l’Italia hanno invocato il «dialogo». Parigi e Londra hanno invece varcato idealmente l’Oceano e si sono accodate a Barack Obama. Che oltre alle parole e le sanzioni (con il rischio dell’effetto boomerang) sa benissimo che non può andare, perché nessuno nel nuovo secolo concepisce l’ipotesi di una risposta militare a un’azione illegittima alle porte dell’Occidente. Nato compresa.Eppure il crollo repentino della Borsa di Mosca deve pur far riflettere, facendo guardare un po’ più lontano dal primo pericolo palesatosi: cioè il blocco delle importazioni di gas da Mosca, con Berlino e Roma in prima fila come terminali dei grandi gasdotti russi. L’economia russa è ormai totalmente radicata in Europa, più saldamente addirittura dei basamenti di cemento che reggono le condotte del gas. L’isolamento economico, a gioco lungo, nuoce più a Putin che all’economia europea. E ieri Putin e Lavrov l’hanno fatto capire dicendo che le sanzioni non «avranno effetto» ma sapendo benissimo che è il contrario. Vladimir Vladimirovic ne è consapevole e per questo ha giocato sui tempi brevi per dimostrare il suo teorema. Con il quale ha evidenziato anche l’impotenza americana (che prima ha alimentato la rivolta a Kiev e poi ha ritirato la mano, come fece ad esempio in Egitto ai tempi della caduta di Mubarak). E dimostrato l’assioma di una Crimea russofona e ormai tornata totalmente russa, come prima del regalo di Nikita Krushev.Ma è sul tempo medio-lungo che gli effetti della teoria saranno ancora più palesi. A fine mese Sinferopoli voterà l’indipendenza e Kiev e l’Europa non potranno che prenderne atto. Ma questo basterà a Putin? Le ricche miniere di Donetsk, l’area di Odessa e la zona industriale di Kharkiv resteranno alla finestra o punteranno più in alto snaturando l’assetto attuale dell’Ucraina e portando definitivamente sotto l’influenza russa la regione più florida del Paese, quella che per 1.400 chilometri divide la frontiera con la Russia?
Può una ex potenza imperiale agire come se il Muro di Berlino non fosse crollato, come se la Guerra fredda fosse ancora a temperature di gran lunga inferiori allo zero e la politica dei blocchi di fatto resistente a qualsiasi istituzione sovranazionale? La risposta che sembra aver dato in questi giorni è: sì, può farlo.
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