martedì 3 marzo 2009
La più grande distesa salata del mondo racchiude una ricchezza che comincia ad attrarre l’interesse delle Case automobilistiche americane, giapponesi ed europee
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Sud-ovest della Bolivia, confi­ne con il Cile. Un paesaggio lunare bianco, come la neve, a 3.650 metri sopra il livello del mare. Un deserto di sale con una superficie di quasi 12.000 chilo­metri quadrati. Finora il Salar di Uyuni – la più grande distesa sala­ta del mondo – era meta soprat­tutto di turisti ed esperti di astro­nomia. Ma qualcosa è cambiato: i visitatori, ora, non sono soltanto viaggiatori interessati ad uno de­gli angoli più suggestivi dell’alto­piano. Puntano ad altro: vi arriva­no tecnici, ingegneri, imprendito­ri di mezzo mondo. A migliaia di chilometri di distanza, da Detroit a Pechino, da Tokyo a Parigi, le grandi aziende automobilistiche – impegnate a sviluppare gli attesi modelli delle nuove auto elettriche – guardano con interesse crescente alla Bolivia e al suo tesoro minerale. Il Paese sudamerica­no possiede infatti quasi il 50% delle riserve mondiali di litio, materia prima fondamenta­le per le batterie delle vetture elettriche. Un pa­trimonio concentrato nel lago prosciugato di Uyuni e in altri piccoli salares fra Potosí e O­ruro, a sud di La Paz. Una ric­chezza che, secondo gli e­sperti, nel prossimo futuro potrebbe trasformare l’im­portanza geostrategica della Bolivia, catapultandola al centro di interessi economi­ci internazionali. In una manciata di anni il pa­norama mondiale è cambia­to e promette nuove trasfor­mazioni. Il costo e la dispo­nibilità limitata degli idro­carburi spingono l’accelera­tore dei grandi costruttori di auto verso propulsori alter­nativi. E c’è già chi parla, ma­gari con qualche esagerazio­ne, della Bolivia come futura Arabia Saudita del litio: le enormi riserve di questo minerale (il 47% del totale mondiale, secondo il servizio geologico statunitense) vengono paragonate ai giacimenti di oro nero del Paese arabo, pri­mo esportatore di petro­lio del Pianeta. Ormai Uyuni non è più soltan­to un’affascinante desti­nazione turistica. Il go­verno di Evo Morales è consapevole dell’impor­tanza delle riserve: se i progetti delle grandi ca­se automobilistiche si realizzeranno, in pochi anni la domanda di litio si moltiplicherà. Il litio, non a caso, è sta­to uno dei temi chiave del recente viaggio di Morales in Russia e in Francia. A Parigi il primo presidente aymara (l’etnia locale) della storia boliviana ha visita­to la compagnia del gruppo Bolloré, che lavo­ra con l’italiana Pininfarina al disegno di un’au­tomobile elettrica con batterie agli ioni di litio. Il modello nato dalla joint venture fra Pinifari­na e Bolloré potrebbe essere lanciato contem­poraneamente in Europa, Usa e Giappone il prossimo anno. Al ritorno a La Paz, Morales – promotore della nazionalizzazione degli idrocarburi e di un più forte controllo statale dell’economia – ha chia­rito la posizione della Bolivia. Investitori stra­nieri sì, ma in minoranza: lo Stato «non perderà mai» il controllo del litio – ha detto – e man­terrà sempre una posizione maggioritaria nei futuri progetti di sfruttamento. La Bolivia «cer­cherà soci e non proprietari». La Paz non vuole limitarsi a fornire materia pri­ma ad altri. Il gruppo Bolloré non è l’unico ad aver manifestato interesse per i salares boli­viani: offerte e proposte di accordi per la ri­cerca scientifica, l’estrazione e l’industrializ­zazione del litio cominciano a fioccare anche dall’Asia, con le giapponesi Mitsubishi e Su­mimoto e la sudcoreana LG. Per ora si tratta di progetti, di «desideri», ha detto Morales. Il Paese andino ha già cominciato a muoversi da solo lo scorso anno, con un primo proget­to pilota a Uyuni: i boliviani stanno realizzan­do una fabbrica di carbonato di litio, con un in­vestimento iniziale di circa 6 milioni di dolla­ri. È solo il primo passo: in un secondo mo­mento sarà necessario un investimento fra i 150 e i 250 milioni. Il partito di Morales (Mas, Movimento al Socialismo) ha confermato che la produzione verrà avviata in via sperimenta­le il prossimo anno: «Sono certo che fra due o tre anni industrializzeremo il salar di Uyuni», ha detto il deputato Froilán Condori. La fab­brica dovrebbe sfornare 40 tonnellate di litio il mese. Una chance importantis­sima per la seconda na­zione più povera dell’A­merica Latina, dopo Hai­ti? L’ambizione di La Paz – una volta realizzate batte­rie al litio – è costruire in Bolivia anche i veicoli e­lettrici. In futuro, ovvia­mente. Mancano ancora capitali e tecnologia, ma certo non scarseggia l’am­bitissima materia prima. Finora non ci sono accor­di né contratti con possibili soci stranieri, ma il corteggiamento è in corso: intorno ad Uyu­ni e ai più piccoli laghi salati prosciugati di O­ruro si è risvegliata una straordinaria atten­zione. Gli esperti prevedono forti pressioni. L’ultima parola, in qualsiasi caso, spetterà agli stessi boliviani. La nuova Costituzione – ap­provata di recente con un referendum, fra ac­cese polemiche – dichiara che «le risorse na­turali sono di proprietà e dominio diretto, in­divisibile e imprescrittibile del popolo e spet­ta allo Stato la sua amministrazione in funzio­ne del bene collettivo»: tutto ciò vale per i «mi­nerali, gli idrocarburi, l’acqua, l’aria, il suolo e il sottosuolo, i boschi, la biodiversità, lo spet­tro elettromagnetico e tutti gli elementi e for­ze fisiche che possono essere sfruttate». Dunque, è compreso anche il litio, nuovo oro «verde».
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