«È dovere di ogni musulmano condannare la violenza e il terrorismo... È nostro dovere assumere una posizione chiara e non negoziabile contro chiunque alimenti i conflitti o si faccia complice del terrorismo... . La voce del segretario generale del
Centro culturale islamico d’Italia, Abdellah Redouane, risuona nella sala conferenze della grande moschea di Roma, affollata da centinaia di persone: ambasciatori di diverse nazioni, giovani vestiti all’occidentale, donne col volto incorniciato dal tradizionale “hijab” e anziani con “disdasha” e “taqiyah”, la veste bianca e lo zuccotto traforato. Redouane, 60enne d’origine marocchina, dà voce alla loro posizione: «I sedicenti esponenti e seguaci del cosiddetto “Stato islamico” non rappresentano l’Islam, il loro operato è contrario ai principi dei musulmani. La nostra fede non ha spazio per il loro fanatismo...».. Un appello deciso, “senza se e senza ma” (che riecheggia quello lanciato a fine settembre a Parigi dal Cfcm, il consiglio rappresentativo di 5 milioni di musulmani francesi), al quale i presenti in sala rispondono con ripetuti applausi. Al tavolo delle autorità, la presidente della Camera dei deputati, Laura Boldrini, annuisce. È la sua prima visita ufficiale nella moschea più grande d’Europa (a Roma vivono oltre 50mila fedeli islamici) per partecipare all’iniziativa «No al terrorismo! L’islam è religione di pace». È venerdì, giorno della preghiera settimanale, e al suo arrivo, la folla circonda la scorta: tutti vogliono salutarla o scattare un “selfie”. Una bimba, Yasmin, le consegna un mazzo di fiori. Poi l’imam Mohammad Hassan intona una recitazione del Corano. Quando prende la parola, Laura Boldrini usa toni fermi: l’Is «non è solo una minaccia per l’Occidente e per il mondo intero, lo è soprattutto per il mondo musulmano », colpito «nell’anima da chi utilizza l’islam per esercitare potere». Gli esponenti del Centro islamico ritengono allarmante che migliaia di “foreign fighters” (combattenti stranieri) siano «partiti dall’Europa per andare in Siria. Ma 20 milioni di musulmani – aggiungono – sono invece rimasti con le loro famiglie in Europa, che è la loro casa e che vogliono proteggere». Molti, afferma l’imam Yahya Pallavicini «sono stati indottrinati attraverso Internet, non nelle moschee. Bisogna impedire che il Web si sostituisca ai veri maestri». Il segretario Redouane scandisce: «Non ci sarà mai spazio per i seminatori di odio. La nostra religione non si riconosce in quelle violenze». Poi aggiunge, rivolto a quanti dovessero pensare di poter restare ancora nell’ambiguità: «Serve una nostra presa di posizione, ma dobbiamo noi avere per primi la consapevolezza e l’onestà intellettuale di riconoscere la mutazione genetica intervenuta in alcune frange minoritarie ». Un aspetto su cui si sofferma anche il messaggio inviato dal cardinale Jean-Louis Tauran, presidente del Pontificio Consiglio per il Dialogo interreligioso: «Una comunità religiosa che vede un numero non indifferente di suoi seguaci, di varie provenienze etniche e in vari Paesi, commettere nel suo nome atti disumani, criminali e odiosi, non può non riflettere sulle ragioni per le quali questi suoi membri hanno deviato». Accompagnata da esponenti del mondo politico (dai deputati Khalid Chaouki e Mario Marazziti all’ex sindaco di Roma, Gianni Alemanno), la presidente toglie le scarpe e indossa il velo per visitare l’interno della moschea: sotto le delicate volte disegnate da Portoghesi, compare più volte fra le decorazioni il tema coranico «Allah è luce». All’uscita, la terza carica dello Stato rivolge un accorato appello alle autorità del Pakistan, dove l’Alta corte di Lahore ha da poco confermato la condanna a morte comminata in primo grado ad Asia Bibi, donna di fede cattolica accusata di blasfemia. «È una sentenza che ritengo inaccettabile – dice Boldrini –. Non si può discriminare qualcuno in base alla religione e tanto meno condannarlo a morte. Spero vivamente che ci sia un ripensamento da parte delle autorità pachistane». E proprio dal Pakistan, attraverso l’agenzia Fides, padreYousaf Emmanuel, parroco a Lahore e direttore della Commissione nazionale Giustizia e Pace dei vescovi pachistani, invita a non cedere allo sconforto: «Bisogna continuare a pregare e sperare per Asia Bibi. Domani pregheremo per lei nelle nostre chiese. Non è detta l’ultima parola. Ayub Masih, cristiano condannato a morte per blasfemia, si è e salvato grazie al verdetto assolutorio della Corte suprema».