giovedì 11 giugno 2009
L’ex presidente del Parlamento, Mussavi, è la vera alternativa alla riconferma del leader in carica. Viene appoggiato dai giovani e dalle donne, un sondaggio la dà favorito, la guida suprema Khamenei lo accusa di essere filo-occidentale. Il ruolo fondamentale del clero sciita.
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Tra pochi giorni sapremo se l’I­ran ha davvero voglia di cam­biare. Le urne, 45.713 in tota­le, saranno aperte domani in tutto il Paese dalle otto del mattino alle sei di sera (dalle 5.30 alle 15.30 ora ita­liana) ai 46,2 milioni di aventi dirit­to per l’elezione di un nuovo presi­dente. I quattro candidati alla cari­ca sono il presidente uscente Mah­moud Ahmadinejad, il candidato del campo riformista ed ex premier Mir Hossein Mussavi, l’ex presiden­te del parlamento Mehdi Karrubi e l’ultraconservatore Mohsen Rezai, ex capo dei Guardiani della rivolu­zione.Il ministero degli Interni ira­niano ha fissato il 19 giugno come data per l’eventuale voto di ballot­taggio se nessuno dei quattro otte­nesse la maggioranza assoluta dei voti. Le intenzioni di voto della po­polazione appaiono piuttosto chia­re. A vedere i poster elettorali, le foto dei candidati attaccati sulle auto­mobili o le folle che partecipano al­le manifestazioni, Mahmoud Ah­madinejad e Mir-Hossein Mussavi saranno i due contendenti finali. Sal­vo sorprese che le elezioni iraniane hanno già riservato in passato, co­me in occasione dell’elezione dello stesso Ahmadinejad quattro anni fa. Per gli altri due aspiranti, Rezai e Karrubi, sembra invece essere ri­masto poco spazio, a parte quello assegnato loro nei duelli televisivi dai 12 membri del Consiglio dei Guardiani, lo stesso che aveva pre­cedentemente accertato 'l’elegibi­lità' dei quattro concorrenti tra le 475 pre-candidature. In questi fac­cia a faccia trasmessi in diretta, che hanno catalizzato l’attenzione degli iraniani e rappresentato la vera no­vità di questo voto, i concorrenti si sono scambiati pesanti accuse di corruzione, infiammando come non si vedeva dai tempi della prima elezione di Khatami (1997) gli animi degli elettori. Ieri si è saputo che l’ex presidente i­raniano Akbar Hashemi Rafsanjani si è appellato alla Guida suprema, l’ayatollah Ali Khamenei, dopo le ac­cuse di corruzione lanciate dal pre­sidente Mahmud Ahmadinejad contro lo stesso Rafsanjani in uno di questi dibattiti. Nella lettera, Ra­sfanjani chiede a Khamanei di ga­rantire lo svolgimento di elezioni 'pulite' e dice di avere chiesto alla televisione di Stato la possibilità di replicare alle accuse prima del voto. «Ma entrambi questi suggerimenti sono stati respinti, e la Guida su­prema ha considerato che fosse op­portuno il silenzio», lamenta Raf­sanjani. Un’altra polemica ha ri­guardato Zahra Rahnavard, moglie di Mussavi, accusata da Ahmadi­nejad di aver truffato per ottenere la sua laurea universitaria. Zahra, una docente di scienze politiche ammi­rata da molte donne perché si è im­pegnata a fondo (cosa senza prece­denti in Iran) nella campagna elet­torale del marito, ha minacciato di portarlo in tribunale con l’accusa di diffamazione. Molti iraniani hanno interpretato le accuse di Ahmadi­nejad come un attacco al ruolo po­litico delle donne. Mussavi, dal can­to suo, ha accusato il presidente u­scente di condurre una politica e­stera basata su 'avventurismo, illu­sionismo, esibizionismo, estremi­smo e superficialità'. Mussavi, che promette la liberaliz­zazione economica e più ampie li­bertà civili e gode di buona popola­rità per aver guidato l’Iran nei diffi­cili anni della guerra con l’Iraq, atti­ra le classi medio-alte e i giovani sot­to i 30 anni, che costituiscono tre quarti dei 70 milioni di iraniani. Su­gli strati sociali più bassi e delle cam­pagne fanno certamente più presa i messaggi populisti del presidente in carica. Ahmadinejad può anche contare su milioni di voti prove­nienti dai membri delle forze arma­te e dei basiji, una forza paramilita­re, e soprattutto sull’appoggio non molto celato di Khamenei. A marzo, la Guida suprema aveva affermato che non avrebbe reso note le sue in­tenzioni di voto, ma tre settimane fa ha lanciato un appello al popolo i­raniano affinché non elegga un can­didato che possa adottare un atteg­giamento filo-occidentale. «Non la­sciate – ha detto – che il vostro voto vada a coloro che potrebbero con­segnarci al nostro nemico e non per­mettete che la nazione possa per­dere la sua dignità». Khamenei ha affermato che sarebbe 'una cata­strofe' per l’Iran l’elezione di un can­didato che «pensa di accattivarsi al­cune potenze occidentali o qualche arrogante internazionale». Secondo gli osservatori l’appello di Khamenei sarebbe dovuto a quella che viene percepita come una ri­monta di Mussavi, che negli ultimi giorni ha attirato decine di migliaia di sostenitori ai suoi comizi. Le spe­ranze di cambiamento sono state a­limentate da un sondaggio non uf­ficiale secondo cui gli elettori asse­gnerebbero il 54 per cento dei voti al candidato dei riformisti, contro il 39 per cento di Ahmadinejad. Chiunque sia il prossimo presiden­te dell’Iran, dovrà fare i conti con il clero sciita. Se n’è dovuto accorgere Mohammed Khatami. Quando do­po due mandati l’ultimo presiden­te riformista si è ritirato, ha lasciato dietro di sé un elettorato deluso e rassegnato, che nel 2005 non si è pre­so la briga di scegliere tra i due can­didati Ahmadinejad e Rafsanjani, perché tanto nulla sarebbe cambia­to. «Ahmadinejad è stata la giusta punizione per la ritirata degli am­bienti riformisti dall’arena politica – osserva un imprenditore iraniano – e l’elezione ha avuto l’effetto di u­no schiaffo. C’è da sperare che lo schiaffo abbia risvegliato la gente».
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