Tra pochi giorni sapremo se l’Iran ha davvero voglia di cambiare. Le urne, 45.713 in totale, saranno aperte domani in tutto il Paese dalle otto del mattino alle sei di sera (dalle 5.30 alle 15.30 ora italiana) ai 46,2 milioni di aventi diritto per l’elezione di un nuovo presidente. I quattro candidati alla carica sono il presidente uscente Mahmoud Ahmadinejad, il candidato del campo riformista ed ex premier Mir Hossein Mussavi, l’ex presidente del parlamento Mehdi Karrubi e l’ultraconservatore Mohsen Rezai, ex capo dei Guardiani della rivoluzione.Il ministero degli Interni iraniano ha fissato il 19 giugno come data per l’eventuale voto di ballottaggio se nessuno dei quattro ottenesse la maggioranza assoluta dei voti. Le intenzioni di voto della popolazione appaiono piuttosto chiare. A vedere i poster elettorali, le foto dei candidati attaccati sulle automobili o le folle che partecipano alle manifestazioni, Mahmoud Ahmadinejad e Mir-Hossein Mussavi saranno i due contendenti finali. Salvo sorprese che le elezioni iraniane hanno già riservato in passato, come in occasione dell’elezione dello stesso Ahmadinejad quattro anni fa. Per gli altri due aspiranti, Rezai e Karrubi, sembra invece essere rimasto poco spazio, a parte quello assegnato loro nei duelli televisivi dai 12 membri del Consiglio dei Guardiani, lo stesso che aveva precedentemente accertato 'l’elegibilità' dei quattro concorrenti tra le 475 pre-candidature. In questi faccia a faccia trasmessi in diretta, che hanno catalizzato l’attenzione degli iraniani e rappresentato la vera novità di questo voto, i concorrenti si sono scambiati pesanti accuse di corruzione, infiammando come non si vedeva dai tempi della prima elezione di Khatami (1997) gli animi degli elettori. Ieri si è saputo che l’ex presidente iraniano Akbar Hashemi Rafsanjani si è appellato alla Guida suprema, l’ayatollah Ali Khamenei, dopo le accuse di corruzione lanciate dal presidente Mahmud Ahmadinejad contro lo stesso Rafsanjani in uno di questi dibattiti. Nella lettera, Rasfanjani chiede a Khamanei di garantire lo svolgimento di elezioni 'pulite' e dice di avere chiesto alla televisione di Stato la possibilità di replicare alle accuse prima del voto. «Ma entrambi questi suggerimenti sono stati respinti, e la Guida suprema ha considerato che fosse opportuno il silenzio», lamenta Rafsanjani. Un’altra polemica ha riguardato Zahra Rahnavard, moglie di Mussavi, accusata da Ahmadinejad di aver truffato per ottenere la sua laurea universitaria. Zahra, una docente di scienze politiche ammirata da molte donne perché si è impegnata a fondo (cosa senza precedenti in Iran) nella campagna elettorale del marito, ha minacciato di portarlo in tribunale con l’accusa di diffamazione. Molti iraniani hanno interpretato le accuse di Ahmadinejad come un attacco al ruolo politico delle donne. Mussavi, dal canto suo, ha accusato il presidente uscente di condurre una politica estera basata su 'avventurismo, illusionismo, esibizionismo, estremismo e superficialità'. Mussavi, che promette la liberalizzazione economica e più ampie libertà civili e gode di buona popolarità per aver guidato l’Iran nei difficili anni della guerra con l’Iraq, attira le classi medio-alte e i giovani sotto i 30 anni, che costituiscono tre quarti dei 70 milioni di iraniani. Sugli strati sociali più bassi e delle campagne fanno certamente più presa i messaggi populisti del presidente in carica. Ahmadinejad può anche contare su milioni di voti provenienti dai membri delle forze armate e dei basiji, una forza paramilitare, e soprattutto sull’appoggio non molto celato di Khamenei. A marzo, la Guida suprema aveva affermato che non avrebbe reso note le sue intenzioni di voto, ma tre settimane fa ha lanciato un appello al popolo iraniano affinché non elegga un candidato che possa adottare un atteggiamento filo-occidentale. «Non lasciate – ha detto – che il vostro voto vada a coloro che potrebbero consegnarci al nostro nemico e non permettete che la nazione possa perdere la sua dignità». Khamenei ha affermato che sarebbe 'una catastrofe' per l’Iran l’elezione di un candidato che «pensa di accattivarsi alcune potenze occidentali o qualche arrogante internazionale». Secondo gli osservatori l’appello di Khamenei sarebbe dovuto a quella che viene percepita come una rimonta di Mussavi, che negli ultimi giorni ha attirato decine di migliaia di sostenitori ai suoi comizi. Le speranze di cambiamento sono state alimentate da un sondaggio non ufficiale secondo cui gli elettori assegnerebbero il 54 per cento dei voti al candidato dei riformisti, contro il 39 per cento di Ahmadinejad. Chiunque sia il prossimo presidente dell’Iran, dovrà fare i conti con il clero sciita. Se n’è dovuto accorgere Mohammed Khatami. Quando dopo due mandati l’ultimo presidente riformista si è ritirato, ha lasciato dietro di sé un elettorato deluso e rassegnato, che nel 2005 non si è preso la briga di scegliere tra i due candidati Ahmadinejad e Rafsanjani, perché tanto nulla sarebbe cambiato. «Ahmadinejad è stata la giusta punizione per la ritirata degli ambienti riformisti dall’arena politica – osserva un imprenditore iraniano – e l’elezione ha avuto l’effetto di uno schiaffo. C’è da sperare che lo schiaffo abbia risvegliato la gente».